Con “L’altro capo del filo” (Sellerio 2016), nuova inchiesta del commissario di Vigàta da oggi in libreria, il Maestro siciliano Andrea Camilleri raggiunge il traguardo dei cento libri pubblicati,
“ci sono riuscito perché sono un impiegato della scrittura”.
È questo “un Montalbano scritto nella sopravvenuta cecità”, infatti, Camilleri a 91 anni ha dovuto dettare il romanzo alla sua assistente Valentina Alferj, “l’unica che sia in grado di scrivere in vigatese”.
Il contesto nel quale si muove Montalbano riguarda l’attualità italiana, Salvo “vive nel suo tempo” e ha una funzione sociale in quanto commissario di polizia e in ogni romanzo si confronta con i problemi del nostro tempo. In queste pagine Montalbano, i suoi uomini e tutta Vigàta si prodigano nei confronti dei migranti, disperati in fuga in cerca della salvezza, che sbarcano sulle coste siciliane. Un dramma umano, una diaspora epocale che sembra non avere fine e che scuote le coscienze di ciascuno di noi. Il volume esce nello stesso giorno di apertura del G7 in Giappone nel quale i leader mondiali hanno nell’agenda dei lavori come tema principale l’emergenza immigrazione, all’indomani dell’ennesima tragedia in mare: un barcone con 600 migranti è affondato al largo della Libia causando la morte di 5 persone.
“Gli sbarchi sulle coste oramai sono più puntuali della corriera di Montelusa”.
I migranti, anzi gli “sfollati”, come li chiama Catarella, arrivano a centinaia, ogni notte, tutte le notti. Con qualsiasi condizione di tempo. Uomini, donne, bambini, vecchi. Arrivano assiderati, affamati, assetati, impauriti. Hanno bisogno di tutto. L’intero commissariato di Vigàta è impegnato 24 ore su 24 nel gestire gli sbarchi. In paese si sono costituiti diversi comitati di volontari (uno di questi è gestito da Beba, la moglie di Mimì Augello, il vice di Montalbano), che raccolgono generi di prima necessità, preparano pasti caldi, forniscono abiti, scarpe, coperte. Una notte il commissario sale a bordo di una di queste motonavi piene di disperati, affacciandosi sul ponte Salvo osserva
“’na massa ’nformi, pirchì tutti si nni stavano ’ncuponati sutta alle coperte termiche che avivino arricevute a bordo”.
Montalbano ha di fronte solo occhi
“sparluccicanti, sgriddati, attenti come a quelli di cani che aspettano l’osso”.
Sono uomini come Abdul Alkarim, celebre suonatore di flauto, donne come Fatima che ha dato alla luce un neonato “mascolo” che “morse”, ragazzine come Leena, brutalmente abusata da due scafisti. Un’umanità variegata aiutata da uomini di buona volontà quale il dottor Osman, un tunisino che ricorda il dottor Pietro Bartolo di Lampedusa che da anni soccorre e cura tutti con commovente uguaglianza, diventato celebre grazie al documentario “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo Festival di Berlino. La disciplina di sbirro consente a Montalbano di fare quello che deve fare ma
“la so anima d’omo non ce la faciva a continiri tutta ’sta tragedia”.
In questi trent’anni e passa, dal primo romanzo “La forma dell’acqua” (Sellerio 1994) incentrato sulla figura del poliziotto di Vigàta, Montalbano è invecchiato fisicamente, ma più di una vera vecchiaia si tratta di una vera stanchezza nell’avere a che a che fare con la stupidità, perché per Salvo ogni omicidio “rappresenta un gesto di stupidità”, sostiene Camilleri. Anche nel 26esimo volume incentrato sul personaggio di Salvo Montalbano avviene un assassinio, la morte della sarta Elena,
“dottore, non può immaginare... che mattanza!”
ritrovata trucidata a colpi di forbici all’interno del suo rinomato atelier. A Montalbano il compito, in mezzo a tutto quel dolore, di ritrovare l’altro capo del filo di una matassa ingarbugliata.
“Nzemmula a quei morti, stava naufragando macari il meglio dell’omo”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: 100 libri per Andrea Camilleri, che torna in libreria con una nuova inchiesta di Montalbano
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