1918: la fine della Grande Guerra
- Autore: Armando Rati
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2008
L’ultimo anno della guerra 1915-18 sul fronte italiano e le vicende successive che hanno impegnato le nostre Forze Armate: un volume prezioso, ancora d’attualità, tecnico ma non troppo, ad opera di una coppia di saggisti storici esperti, Antonio Badolato e Armando Rati. Nel 2008, l’Editoriale Sometti di Mantova ha pubblicato 1918: la fine della Grande Guerra. Altipiani Grappa Piave Vittorio Veneto, intensamente illustrato con foto d’epoca in bianconero (232 pagine).
Antonio Badolato è nato a Guastalla nel 1951. Maggiore di complemento del Genio Alpino, ha studiato giurisprudenza e vanta una lunga esperienza professionale come direttore delle risorse umane per importanti istituti di credito. Giornalista pubblicista, ha pubblicato diversi saggi di argomento storico.
Armando Rati è un generale dell’esercito, originario di Acquanegra nel Mantovano. Laureato in pedagogia con indirizzo storico, dal congedo per limiti di età si occupa di storia, soprattutto militare, con all’attivo numerosi saggi, editi da Sometti.
Sulla base di fonti italiane e austriache, con un cavalleresco rispetto per l’avversario, offrono “un’accurata rivisitazione delle vicende militari”, agevole tanto per i lettori già informati che per quelli al primo contatto con gli eventi. Partono dalla prima battaglia d’arresto dal Grappa al Piave del novembre 1917, per arrivare all’offensiva finale di Vittorio Veneto, passando dalle riprese offensive locali da gennaio 1918 e dalla battaglia difensiva del Solstizio (15-24 giugno 1918).
Oltre all’efficace esposizione di aspetti dell’ultimo anno di guerra — compreso il poco esplorato movimento di resistenza in Veneto e Friuli e lo spionaggio di nostri ufficiali oltre le linee — è significativa l’attenzione all’intenso impiego delle truppe in varie operazioni all’estero, negli anni 1919 e 1920. Costarono ulteriori perdite, nei Balcani, in Libia, in Turchia, a Fiume, molte in Albania, per operazioni incerte, comandate da vari governi italiani all’insegna del: si potrebbe fare di più, ma è meglio non farlo.
Assunsero di volta in volta il significato di spedizioni militari, di operazioni coloniali, di esercizio di potenza e si arrivò a qualche antenato delle missioni internazionali di pace (in Russia, con la mobilitazione iniziale a Murmansk, nel Mar di Barents).
Intanto, a fine ottobre 1918, a ostilità con l’Austria ancora in corso, mentre si delineava il successo dell’offensiva nella pianura veneta, i Comandi italiani avevano preso in considerazione l’operazione “Baviera”. Il 2-3 novembre, a Versailles, il Consiglio Superiore interalleato condivise un piano sommario di operazioni contro la Germania, con l’apertura di un fronte sud. Prevedeva un’azione concentrica verso Monaco, inizialmente con un’Armata (dieci divisioni), dalla zona di Innsbruck. In un secondo tempo, con altre due (20-25 divisioni), concentrate nella zona di Linz. Le divisioni italiane sarebbero state ben 30 — più le 5 alleate già in Italia — agli ordini di un generale del Regio Esercito (si fece il nome del Duca d’Aosta). Le due divisioni cecoslovacche già impiegate sul Piave avrebbero agito dalla Boemia.
Ma le decisioni non piacevano al nostro Comando Supremo, che rivendicava libertà d’azione. Dopo l’armistizio con Vienna, Diaz intendeva operare in maniera indipendente contro la Germania, attraverso l’Austria e intanto portava avanti l’occupazione dell’Alto Adige, Cadore, Carso e Istria. Si ebbe notizia di trasporti ferroviari di truppe tedesche verso il Brennero e della presenza di 1.500 soldati bavaresi a Fortezza, ma la cessazione delle ostilità anche da parte tedesca, l’11 novembre, cambiò lo scenario, da offensivo a presidiario.
All’inizio del 1919, quando l’Esercito Italiano andava congedando gli uomini, al ritmo di 15.000 al giorno, l’orizzonte politico europeo era tutt’altro che tranquillo, alla frontiera orientale adriatica e per l’acutizzarsi della questione fiumana. A fine aprile, in Carinzia si costituì un governo provvisorio collegato a Vienna, con poche truppe, incapaci di contrastare i turbolenti reparti serbo-slavi, meglio organizzati e armati. Vebnne chiesto l’intervento di truppe italiane, della 57a Divisione, per controllare la linea ferroviaria di particolare importanza.
Nel 1920, l’Esercito contava all’inizio 490mila uomini, 224mila all’estero: 130mila al confine orientale e in Carinzia, 11mila in Dalmazia, 33mila in Albania, 4mila nell’Alto Inn, 9mila a Fiume, 12.500 a Colonia, 5.200 in Germania Orientale, 10mila in Trentino e Aldo Adige.
La situazione politico-militare cominciò a deteriorarsi in Dalmazia, per l’intensificarsi di attacchi a sentinelle, presìdi isolati, treni. Altro onere, l’impegno di garantire la tranquillità nelle zone soggette a plebiscito, ai confini tra Germania, Polonia e Cecoslovacchia. Nell’alta Slesia, venne inviato un complesso di 2.500 soldati, rinforzato l’anno dopo per via dell’insurrezione polacca. Coinvolti in scontri, colpiti da attentati cruenti, rientrarono in Patria nell’estate 1922. In due anni, oltre venti caduti e almeno cinquanta feriti.
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