1941 La guerra da europea a mondiale
- Autore: Ernesto Brunetta
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Alla fine del 1940, Hitler era persuaso di avere vinto la guerra, dopo avere piegato la Francia in poche settimane, nella primavera precedente e nonostante le perdite subite dall’aviazione tedesca nella battaglia d’Inghilterra dell’estate-autunno. Furono la tenacia di Churchill e della Gran Bretagna a tenere in piedi l’unico avversario, il Commonwealth e l’anno entrante fece il resto, con i suoi eventi non conclusivi, ma determinanti. Si legge in 1941. La guerra da europea a mondiale (marzo 2021, 120 pagine), nuovo lavoro per l’Editoriale Programma di Ernesto Brunetta, scrittore e politico trevigiano, storico della Resistenza veneta e più in generale della storia di Treviso e di Venezia.
Non solo testi, anche un ampio apparato iconografico, a cura di Gabriella Guerra, appassionata di fotografia già docente nella scuola primaria, che ha già curato il corredo di immagini a supporto di opere del marito, a sua volta decano della Pubblica Amministrazione e presidente dell’Istituto storico della provincia di Treviso, Istresco, sempre molto attivo con ricerche importanti.
Senza citare le tante pubblicazioni di Brunetta, non si può non fare riferimento al precedente specifico, quel 1940. Un vento di follia, L’Italia entra in guerra, dato alle stampe sempre per la trevigiana Editoriale Programma nel 2020, a ottant’anni dal giugno in cui Mussolini “impose al Paese un conflitto che non era in grado di sostenere”.
Il nuovo saggio sposta il punto di vista verso l’orizzonte mondiale. Se il primo guardava all’intervento delle forze armate fasciste, questo analizza l’indebolirsi della posizione italiana su tutti i fronti e l’allargamento delle ostilità a due grandissime potenze, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, coinvolte nel 1941 dall’aggressione subita rispettivamente dalla Germania il 22 giugno e dal Giappone il 7 dicembre. Da europea, la guerra diventò mondiale e questo mette in un angolo la visione esclusivamente nazionale, rendendola troppo angusta, anche se per l’Italia la guerra era comunque già persa nell’autunno 1940. In poche settimane, l’esercito greco aveva ricacciato il nostro corpo di spedizione dall’Epiro aggredito e solo una costosa resistenza sul fronte albanese aveva risparmiato alle truppe grigioverdi una vergognosa fuga dai Balcani.
Era anche fallita la debole offensiva appiedata del generale Graziani in Africa Settentrionale e la controffensiva corazzata britannica aveva respinto le fanterie italiane in Tripolitania, con la perdita di migliaia di prigionieri. Nella maldifesa base navale di Taranto, tre corazzate della Regia Marina erano state messe fuori combattimento dagli idrovolanti Swordfish, lanciati da una portaerei inglese giunta indisturbata nello Ionio.
Era il fallimento della guerra parallela che Mussolini si era azzardato a combattere e si rendeva dovunque necessario l’indispensabile supporto tedesco terrestre nei Balcani e in Libia (l’Afrika Korps), navale e aereo nel Mediterraneo (gli U-Boot e il CAT), che metteva il Duce inevitabilmente in disparte nello scenario decisionale mondiale.
Quanto a presunzione e visione sbagliata della storia, Hitler non era da meno. A riportarlo coi piedi per terra, la beffarda osservazione di Molotov, plenipotenziario di una Unione Sovietica ancora per poco non ostile, a fine 1940. Il ministro degli esteri di Stalin era a Berlino per la conferma del patto di non aggressione che due mesi prima aveva garantito a Germania e Russia di spartirsi la Polonia. Nella notte tra il 12 e il 13 novembre, le trattative dovettero trasferirsi nel rifugio della Cancelleria, sotto un’incursione aerea britannica. All’ennesima asserzione che la guerra era già vinta, Molotov chiese “con finto candore” perché mai stessero trattando in uno scomodo rifugio antiaereo, scavato alcuni metri sottoterra.
Nemmeno otto mesi più avanti, Hitler scatenò l’Operazione Barbarossa e il successo della massiccia offensiva nelle pianure della Russia europea lo convinse che entro l’inverno il colosso comunista sarebbe stato costretto a chiedere l’armistizio. La Gran Bretagna avrebbe perso un forte alleato e la Germania messo le mani su materie prime importanti. Ma la gran parte del territorio sovietico si estende dietro gli Urali, in Asia e questo oltre a fornire alla Russia una riserva inesauribile di risorse umane e materiali, consentiva la produzione bellica in stabilimenti indisturbati dall’aviazione germanica, che non poteva in alcun modo raggiungerli.
A dicembre, davanti al capolinea del tram alla periferia nordovest di Mosca, una colonna corazzata tedesca raggiunse e dovette abbandonare il punto più avanzato dell’offensiva, stremata dallo sforzo e dal gelo, che la Wermacht non era attrezzata ad affrontare, vista la suggestione di Hitler di regolare i conti prima dell’inverno.
L’aggressione tedesca all’Unione Sovietica si caratterizzò come una “guerra assoluta”, rileva Brunetta, “guerra di sterminio senza alcun rispetto della popolazione civile, nella convinzione che il nemico bolscevico, più che vinto, dovesse essere sterminato”. Ma l’Armata Rossa, i generali di Stalin e la determinazione del popolo russo arrestarono l’aggressione tedesca in Europa.
Agli antipodi, con l’attacco proditorio alla base della Marina americana a Pearl Harbour, senza dichiarazione di guerra, il Giappone trascinò nel conflitto contro l’Asse anche il più grande gigante industriale del mondo. Contemporaneamente, le armate del Sol Levante avanzarono verso l’India, l’Indonesia e l’Australia, trasformando in un teatro di guerra l’intero Oceano Pacifico.
Il 1941 chiamò a contrapporsi tanti Paesi quasi in ogni angolo del pianeta, in un conflitto enorme e mai tanto “mondiale”. Vide anche la stesura della Carta Atlantica, che fissando gli obiettivi di etica internazionale della coalizione dette vita alle Nazioni Unite.
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