’A pistola lasciala, pigliami i cannoli – Il Padrino. Storia, epica, leggenda di Mark Seal

Mario Puzo giocava forte, era pieno di debiti e Il padrino era l’ultima carta buona che gli restava. Con una moglie e cinque figli da mantenere, accettò di occuparsi della sceneggiatura del romanzo contro il parere del suo agente, soprattutto per ragioni familiari. In quel periodo anche la Paramount non se la passava bene, per dirla tutta era anzi sull’orlo del fallimento. Con Il padrino Robert Evans non poteva permettersi altri investimenti a vuoto. Proprio perché intendeva andare sul sicuro, l’allora poco più che trentenne Francis Ford Coppola non rientrava quindi tra le sue prime scelte, ma andò come andò. Andò che il regista italo americano aveva il destino dalla sua, un caratterino niente male, e che alla fine la spuntò su tutto o quasi (il “troppo basso” Al Pacino nel ruolo di Michael Corleone, per esempio).
Senza contare che con Puzo si intese alla perfezione, chissà se per via delle comuni origini italiane, che per girare un film sulla mafia non guastano mai.
Il padrino insomma si fece e fece boom. Un boom clamoroso che provvide alla fama di scrittore e regista in primo luogo. Così va il cinema, così la vita che è cinema a sua volta, e così è andata in breve al Padrino, uno dei film più osannati della storia. 175 minuti di assoluta suggestione.

Difficile, se non impossibile, tenere il conto dei retroscena, gli aneddoti, persino degli intrighi che accompagnarono genesi e lavorazione della pellicola, riepilogati adesso con minuzia nel tassonomico “’A pistola lasciala, pigliami i cannoli – Il Padrino. Storia, epica, leggenda”, da poco in libreria per le edizioni Jimenez (traduzione di Gianluca Testani). L’autore, Mark Seal, è un giornalista di Vanity Fair e dire che nella fattispecie si è dato da fare con abilità investigative degne del miglior Marlowe è dire tutto e niente al tempo stesso. Prendete dunque un qualsiasi lavoro che si attenga ai canoni della saggistica cinematografica e sappiate che questo di Mark Seal è comunque di più, trasversale come risulta alla storia e alla contro-storia di una lavorazione cinematografica arroventata, al detto e al non detto su un cast autoriale-attoriale come pochi, al dentro e fuori un set dove non tutto fila liscio data la posta e i caratteri in gioco.

Il padrino di Mario Puzo è un romanzo scomodo diventato topos per via della sua versione filmica: la testa di cavallo tra le lenzuola, i baci (di Giuda) sulle guance, le esecuzioni comandate con lo sguardo, i matrimoni e i rituali mafiosi, i “materassi”, le stanze in penombra, il codice d’onore e il codice di morte, la Famiglia, Brando che fa il boss con l’imbottitura nelle guance, persino la ricetta delle polpette al sugo.
Il padrino è quindi iconografia allo stato puro: il merito maggiore di Coppola fu quello di licenziare un film tecnicamente sontuoso seppure realista, tipico della new Hollywood, ma anti sociologico, senza cioè tentazioni di analisi strumentali sulla mafia.
Su questo poderoso mafia-movie, l’indagine giornalistica di Mark Seal (più di 400 fitte pagine che scorrono come un romanzo storico) non tralascia alcun dettaglio, sopra e sotto-traccia.

Come spiega Mark Seal a introduzione del libro, Il padrino è un film che

“rivitalizzò Hollywood, salvò la Paramount Pictures, annunciò l’arrivo di Francis Ford Coppola come uno dei grandi registi della nuova era del cinema, coniò una nuova generazione di star, rese ricchi lo sceneggiatore, il regista e il produttore, e scatenò una guerra tra due delle massime potenze d’America: gli squali di Hollywood e i soldati della mafia”.

Qualche ora dopo aver finito di leggere Mark Seal, ho messo su per l’ennesima volta il dvd del Padrino. Significa che l’autore ha fatto centro: A pistola lasciala, pigliami i cannoli è un testo imprescindibile.