A tempo e luogo
- Autore: Angelo Andreotti
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2016
Che cos’è il tempo? Uno scorrere di eventi che ne costituiscono il tessuto. Si tratta di Kronos, il vecchio dio con la falce che taglia inesorabilmente il vissuto, lasciandolo nel passato, scrive questo poeta in modo accorato, "dove più nulla potrà cambiare".
Ma esiste un altro tempo, un altro dio, Kairos nella mitologia greca, ed è il momento esatto, il punto esatto in cui un evento accade, è la maturazione dell’evento, segno del destino, anch’esso inesorabile come l’altro. Ma Kairos è sempre giovane, è sempre adesso. Non passa mai, è memorabile.
La silloge A tempo e luogo di Angelo Andreotti (Manni editore, 2016, pp. 88) introduce nella dimensione dei due tempi e dei due dei. Il titolo allude a Kairos, che esprime la qualità del tempo (Kronos invece è la quantità), rivelantesi con un segnale, una voce misteriosa, un vento metafora del divino, ed è facile perdere il senso della chiamata, purtroppo, per l’abituale comune inadeguatezza, o per il passaggio arcano dell’inafferrabile:
"Il vento / nel giardino / prese il passo pensoso di un dio: / meditando tutto toccava / ma nulla afferrava / se non qualche odore / e gli echi / di un chiamare di cui si è perso il nome."
Il poeta lamenta la perdita dell’occasione fornita da Kairos:
"Ogni sospiro una spinta di vento / come il battito lieve di un sogno / a quella porta che avremmo dovuto aprire."
Il clima dei versi è in prevalenza onirico, testimonia sensazioni sottili, eteriche, descritte spesso con la condizione della "lontananza".
Tempo e spazio sono indissolubilmente legati, ha insegnato Einstein con la teoria della relatività, vertiginosa e quasi inaccessibile alla comprensione razionale se non è sorretta dall’intuizione. Angelo Andreotti è dolorosamente consapevole dei limiti abituali del pensiero, ricerca "le parole dell’inizio / ma trovando le insidie del tempo". Alla sofferenza metafisica si affianca la povertà morale umana ("L’indifferenza serrò gli occhi ai volti / affinché non potessimo conoscerci"), ma la speranza persiste, invoca un "quando", un evento Kairos di salvezza:
"Quando sarà che tornando a sentire / ci gireremo sul lato del cuore / dove lasciar qualcosa d’incompiuto / anche un seme / un piccolo seme / un seme / tra le mani della terra / che la terra possa scolpire in radice."
Un seme è pure un gesto, solidarietà nascente e presente, gesto della mano:
"E ignorando il passato si posa / sulla spalla di chi, chiedendo, / si offre a un tratto di strada insieme".
Il senso delle cose svanisce in lontananza "perché la trasparenza non ha volto". Simbolo e concretezza del senso è il movimento degli alberi, "ma per udirlo ci volle tenerezza".
È questa la poesia dell’ipersensibilità, del dormiveglia, quando la luce appare e rivela il "luogo in cui saremo andati a nascere". Luogo e tempo Kairos, in cui "si aprì il giorno". È "l’estasi sapiente del sentire". È il canto degli uccelli che sorregge il cielo, che annuncia "le cose belle / tenute in corpo da chi sai toccare". Ed è l’amore "dell’onda dolce e violenta dei fianchi". È lo sguardo dell’alba, è "l’odore del fiume", è la comunione "di noi e del paesaggio" compiuta dallo sguardo. È l’albero in tutte le sue versioni: della vita, della croce, del peccato, dell’impiccato, della conoscenza. "Il tempo ci accade" e "il giorno [...] dirà [...] Venite, è tempo di luce, / è un tempo buono per avere tempo".
La conoscenza è sapere ascoltare il mondo e le nostre parole che lo dicono aderendovi, ma è necessario ascoltarle "in controvento", metafora dell’altro lato ancora inconscio contenuto in noi, e allora le scopriremo "piene dei suoni dei cieli".
La meditazione sul tempo si configura come meditazione sull’essere, essere che non è del tempo (Heidegger), è celeste e imperituro, è "tempo sospeso". L’artista percepisce un tempo "molto più lento del tempo / profondo / di cui il tempo era solo un aspetto". L’errore è dimenticare, perdere senso con le parole perdute.
Sono echi platonici e neoplatonici che risuonano nei versi, specialmente nella seconda parte della raccolta, sapienziale, sorretta da una forte potenza immaginativa e intuitiva, consapevolmente assunta da Andreotti come strumento indispensabile di conoscenza:
"Più forte l’esperienza / più vasta l’immaginazione."
È un altro poeta, Fernando Pessoa, a dichiarare, nel suo testamento spirituale, "Nulla si sa, tutto si immagina". Una sentenza assunta da Federico Fellini nel suo ultimo La voce della luna.
Nel "vedere" e "sentire" immaginale accade al poeta di "interrompere la sequenza del tempo"; egli impara a invertirne la rotta, compie il cammino inverso e dalla memoria fa scaturire il presente che è sempre Kairos, detto con un bellissimo verso:
"il luogo in cui tutto accade afferrando ciò che scivola", e veglia decifrando i segni
"che di tanto in tanto vengono / chiamando da un altro tempo / ma nella stessa stanza".
Ancora splendide le sue visioni:
"Noi continuiamo ad essere dove siamo già stati / e già siamo là, dove andremo".
"... e tutto questo lo vedi in un solo apparire."
Sono versi che richiamano il libro di racconti L’Aleph di Borges, la prima lettera dell’alfabeto ebraico in cui è compreso l’intero universo.
Il saggio, e Andreotti gli assomiglia, sa che può essere sperimentato il punto, un solo istante, in cui tutti i tempi si congiungono:
"Passati e futuri / li riempie / e si distende / portando con sé il polline di un’emozione."
Ecco che la poesia illuminata si congiunge alla scienza: il nostro cervello destro è sede delle emozioni e non conosce il tempo cronologico. È tempo cairologico in cui Dio agisce e si rivela. Libro di versi luminosi e pensosi, avvicina al segreto ultimo:
"Se il mutamento fosse un’illusione del tempo? / Se il tempo è movimento nulla va mutando / e tutto è ciò che è".
Einstein gli darebbe ragione e ancor più Charon, il fisico del "tutto", e ancor prima Platone che nel Timeo descrive il tempo come "specchio mobile dell’eternità".
E Angelo Andreotti:
"Ma noi lo sappiamo / che scambiamo la vita con il tempo?"
Sono domande socratiche, poste con il metodo della maieutica; estraggono dal nostro intimo risposte di enorme portata:
"Ma la vita non ha tempo, / soltanto memoria di un eterno cominciamento, / di un insoluto accadere."
Kairos accade, come accade la prima onda del mare, sempre ripetuta, "imago dei" e nostra: "e quindi essere creature eterne in un tempo contato".
A tempo e luogo è un testo di infinito conforto e luce per l’anima illusoriamente pellegrina, prigioniera di Kronos.
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