Conosciamo Achille come l’eroe dell’Iliade, il valoroso guerriero, l’intrepido combattente. La mitologia greca, a partire da Omero, l’ha consacrato come l’eroe per eccellenza. Ma leggendo l’Iliade, in realtà, scopriamo soprattutto il suo lato umano: lo vediamo piangere in riva al mare copiose lacrime, mentre si appella alla madre, la ninfa marina Teti, quasi imputandola dell’ingrato destino che gli è toccato in sorte. Achille è un eroe, ma vorrebbe non esserlo; tende a spogliarsi della sua armatura. I poemi epici ne hanno consacrato l’ira, la proverbiale ira d’Achille che è diventata anche un modo di dire; eppure di Achille, il Pelide, andrebbe cantata soprattutto la debolezza, le lacrime e la vulnerabilità che lo rendono il più interessante tra i personaggi dell’opera omerica, più multiforme dell’astuto Odisseo.
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Il fascino del personaggio di Achille risiede proprio nel fatto che in lui tutto è estremo ed eccessivo, portato al parossismo. È un eroe, un semidio, eppure non riesce a governare l’impeto dei suoi sentimenti né ad arginare l’incendio delle sue emozioni. Partecipa alla spedizione di Troia obbedendo alla propria volontà, ma il diverbio con Agamennone per il possesso della schiava Briseide lo fa desistere e ritirarsi. Achille è ferito nell’orgoglio e questa ferita irreparabile scatena la sua ira funesta. È un personaggio fatto di rabbia e di lacrime, Achille, di una modernità strabiliante.
Scopriamolo in tutte le sue sfaccettature.
Il mito di Achille
Il mito narra che Achille sia un semidio, figlio della nereide Teti, la più bella ninfa dei mari, e di Peleo, re dei mirmidoni della Tessaglia. Viene infatti spesso chiamato da Omero con il patronimico di Pelide, derivato dal nome del padre.
Appena nato fu immerso nelle acque del fiume Stige, che lo resero immortale; ma un solo punto del suo corpo rimase vulnerabile, il tallone per cui la madre lo reggeva, motivo per cui è stata coniata la celebre espressione tallone d’Achille per indicare un punto debole.
Nell’Iliade Achille si arruola volontario nella guerra di Troia e si distingue per il suo valore eroico nei combattimenti; ma ha un cedimento quando il re Agamonennone gli ruba la schiava Briseide. Agamennone dovrebbe riconsegnare la sua schiava, Criseide, al padre Crise sacerdote di Apollo, ma all’ultimo si rifiuta di farlo. Il suo rifiuto scatena l’ira di Apollo e, di conseguenza, una terribile pestilenza nel campo acheo. Agamennone per placare il Dio è costretto a malincuore a restituire Criseide, ma decide di prendere con sé Briseide, la schiava di Achille. Questo scatena la famosa “ira” del Pelide.
L’ira di Achille
Cantami, o Diva, del Pelìde Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei.
Già nel Proemio dell’Iliade il narratore dopo la classica invocazione alla musa spiega i terribili effetti dell’ira funesta di Achille che, come ci viene anticipato, causerà molti mali e numerosi lutti.
Sarà proprio l’ira di Achille infatti a causare la tragedia; ferito nell’orgoglio per il torto subito da Agamennone, l’eroe si rifiuta di combattere e si rinchiude nella sua tenda. Approfittando dell’assenza di Achille l’esercito avversario, capeggiato da Ettore, avanza implacabile. Allora Patroclo, migliore amico di Achille, decide di allestire una messa in scena travestendosi con l’armatura del Pelide, convinto così di scatenare il terrore dei troiani. Invece Patroclo verrà ucciso proprio da Ettore che, solo dopo aver compiuto il delitto, si renderà conto dell’errore. Il dolore per la perdita dell’amico (e probabilmente anche amante) scatena la sete di vendetta di Achille che infine troverà compimento con l’uccisione di Ettore.
Le lacrime di Achille
L’Iliade non ci descrive solo l’ira dell’eroe, ma anche le sue umanissime lacrime. Dopo che Agamennone gli ha sottratto la schiava Briseide il Pelide piange per l’ingiustizia subita. Una famose scena lo ritrae in riva al mare mentre, in lacrime, invoca la madre Teti piangendo il suo triste destino. In questa occasione Achille piange due ingiustizie: il torto patito e la certezza di una morte vicina. Vi è quindi un commuovente dialogo tra l’eroe e la madre Teti.
Ma queste lacrime sono nulla in confronto alla disperazione che coglie l’eroe dopo la morte di Patroclo. Anche in quell’occasione sarà sempre la madre a uscire dalle acque per consolarlo. Sarà lei a suggerirgli di aspettare a compiere la sua vendetta e a portargli la nuova armatura forgiata dal dio Efesto.
Le lacrime di Achille e i dialoghi della madre, che teneramente lo chiama “creatura”, sono tra le parti più toccanti dell’Iliade perché ci mostrano la vulnerabilità dell’eroe.
Non c’è vero eroe senza pietas nella mitologia greca. E l’Iliade, che si è aperta narrandoci l’ira di Achille, si conclude mostrandoci la sua compassione: il vero eroismo di Achille non è dato dalla sua spietatezza, al contrario.
È sempre lui a versare lacrime quando il vecchio Re Priamo lo implora di restituirgli il corpo del figlio Ettore per potergli dare sepoltura. Priamo gli ricorda il padre, Peleo, e così lo induce al pianto. Nel finale dell’Iliade dopo essersi abbandonato alle lacrime Achille si placa, la sua ira si estingue come un incendio e lui acconsente a cedere il corpo di Ettore, il suo bottino di guerra.
La morte di Achille
Anche Achille morirà presto, come profetizzato da Ettore durante la sua agonia. L’eroe sarà ucciso da Paride che lo colpirà con una freccia nel suo unico punto vulnerabile: il tallone. Dopo la sua morte le armi del Pelide, forgiate da Efesto, saranno contese tra gli achei.
Come hanno notato numerosi critici l’identità di Achille è proprio caratterizzata dal presagio della sua mortalità. È la consapevolezza della morte a scatenare in lui le passioni più estreme: l’ira e il pianto.
Nell’Iliade il destino di Achille ci viene descritto in questi termini, come “vita breve e gloriosa” e quindi l’eroe è subito definito dall’imminenza della sua morte.
Lo stesso accade nell’Achilleide di Stazio, composta ai tempi dell’imperatore Domiziano, in cui sin dal proemio viene illustrata la mortalità come sinonimo di grandezza dell’eroe.
La fragilità esistenziale dell’eroe omerico è proprio ciò che lo rende umano e affascinante e complesso. Achille non è Ulisse, non ha la sua astuzia né la sua diplomazia né la sua pazienza, ma è proprio la sua umanità così esasperata a renderlo l’eroe tra gli eroi, indimenticabile nella sua perfetta fallibilità.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Achille: la vera storia di un eroe fragile
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