Acri 1291
- Autore: Antonio Musarra
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2017
Chi di spada ferisce, di spada perisce. Mai stato più vero che nelle insanguinate sabbie della Palestina, all’epoca delle crociate. I feroci avversari lo hanno applicato alla lettera negli opposti assedi e opposti massacri di Haifa, a distanza esatta di un secolo gli uni dagli altri. Li ricostruisce il ricercatore di storia medioevale Antonio Musarra, nel saggio “Acri 1291”, per il Mulino (gennaio 2017, pp. 330, euro 24,00).
Acri, ovvero l’attuale Haifa, antica Tolemaide, approdo in Terrasanta sulle coste orientali del Mediterraneo, sulla via di Gerusalemme. La data del titolo si riferisce alla caduta della roccaforte cristiana, a fine XIII secolo, che estinse gli stati crociati in Medio Oriente, che per duecento anni avevano costituito i domini d’Outremer (Oltremare).
Un secolo preciso prima, la stessa San Giovanni d’Acri, come l’avevano ribattezzata i cristiani, aveva cercato invano di resistere all’esercito di Riccardo Cuor di Leone, dopo una breve riconquista musulmana. Cento anni tra un episodio e l’altro di simmetrica violenza, tra l’agosto 1191 e il maggio 1291, dieci decenni di odio religioso, intolleranza etnica, patti non mantenuti, accordi rinnegati, tradimenti, sangue a fiumi.
Adagiata sul bordo settentrionale del golfo di Haifa, davanti a una fertile pianura, Acri era snodo da secoli del traffico tra il Mediterraneo e le piste carovaniere. Conquistata dai crociati nel 1104, per circa due secoli fu tra i principali capisaldi occidentali in Terrasanta, capitale del regno al posto della perduta Gerusalemme.
Estate 1191. Tremila musulmani sotto le mura della città, i polsi legati dietro la schiena. In lunghe file, sono condotti nella piana antistante. Le spade calano sui corpi. La resa della guarnigione era giunta al termine di un lungo assedio, nel corso del quale i crociati si erano trovati a loro volta accerchiati dal Saladino, ma l’arrivo dei re di Francia e Inghilterra aveva rovesciato la situazione. Eppure le condizioni di resa avrebbero consentito ai vinti di avere salva la vita, versando un riscatto in oro e restituendo la reliquia della Vera Croce, perduta nella battaglia di Hattin. Ma erano impegni tanto gravosi da spingere Salah al-Din a temporeggiare, nella speranza di riorganizzare le forze. A quel punto, uno spazientito Riccardo aveva ordinato il massacro di tutti i prigionieri musulmani, per dimostrare la sua brutale determinazione.
Nel maggio 1291, il massacro dei cristiani di Acri, ordinato da un giovane sultano mamelucco, sarebbe stato posto in relazione proprio coi fatti di cento anni prima. I musulmani fecero strage.
Avevano respinto gli europei fino ad Acri, l’avevano cinta d’assedio ed espugnato le torri una dopo l’altra. Nei combattimenti era caduto il Gran Maestro dell’Ordine del Tempio e gli ultimi assediati si erano chiusi nella torre templare. La svolta fu un inganno. Un accordo di resa e vita salva per i cavalieri comportò l’ingresso di quattrocento saraceni, alcuni dei quali molestarono le donne presenti, provocando la reazione dei Franchi, che li fecero a pezzi.
Il sultano finse di accogliere le ragioni dei cristiani, indotti a reagire dal comportamento peccaminoso dei suoi uomini. Duemila persone credettero alle sue parole e si consegnarono ai mamelucchi. Fiducia mal riposta: gli uomini vennero decapitati, le donne e i bambini tratti in schiavitù. Il resto degli assediati si barricò nella fortificazione, che crollò il 28 maggio. Per i superstiti, tra cui un gruppo di francescani, clarisse e domenicani, non ci fu pietà.
La città venne razziata e rasa al suolo, ori e marmi distribuiti tra gli emiri più meritevoli. Un portale d’una chiesa fu trasportato al Cairo e installato nella madrasa del fratellastro di al-Ashraf, dov’è possibile ammirarlo ancora oggi. Il sultano celebrò un vero trionfo a Damasco, accolto dalla popolazione in festa. La città era illuminata, tappeti di raso stesi per le strade. Precedevano il corteo 280 prigionieri franchi. Uno recava uno stendardo capovolto, in segno di resa, un altro, una lancia dalla quale pendevano i capelli dei compagni uccisi.
Nel 1099, Gerusalemme era stata conquistata in trentotto giorni. Poco meno di due secoli dopo, Acri aveva resistito solo pochi giorni di più. In entrambi i casi, tutto si era risolto in un bagno di sangue.
La ricerca dei colpevoli ebbe inizio subito. Le cause del disastro vennero imputate alla debolezza della monarchia di Gerusalemme, all’impotenza del papato, all’indolenza dei regnanti europei, alla rivalità tra gli ordini monastico-cavallereschi templari e ospitalieri, alle lotte fratricide tra i mercanti delle città marinare italiane Genova, Pisa, Venezia.
E tutte le dispute si levavano letteralmente sopra una catasta di morti. Le perdite furono ingenti, anche se il numero è ignoto: i contemporanei lo valutano in un massimo di 100mila caduti e 10mila prigionieri.
Della caduta di Acri, lo storiografo Templare di Tiro scrisse:
“nessuno potrebbe raccontare del pianto e del dolore che vi fu quel giorno e la pietà per i piccoli massacrati e sventrati dai cavalli, che gli passavano sopra, né c’è persona al mondo, pur con cuore duro, che non piangesse a vedere quella punizione”.
Acri 1291. La caduta degli stati crociati
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