Elie Wiesel, sopravvissuto alla Shoah, Premio Nobel per la Pace nel 1986, è morto ieri a Boston all’età di 87 anni. Ad annunciare la scomparsa dello scrittore statunitense di cultura ebraica e di lingua francese nato il 30 settembre 1928 a Sighet, una città rumena in Transilvania, è stato lo Yad Vashem, il memoriale per l’Olocausto.
Lo scrittore Eliezer Wiesel, detto Elie, è conosciuto come autore prolifico (romanzi, racconti, saggi e opere teatrali), ha scritto durante la sua vita 57 opere, tra le quali “La notte” (La nuit 1958), un racconto basato sulla sua personale esperienza di prigioniero nei campi di Auschwitz, Monowitz e Buchenwald durante la II Guerra Mondiale. Wiesel era anche membro dell’Advisory Board del giornale Algemeiner Journal. Dopo la Liberazione Wiesel aveva fatto per alcuni anni il giornalista in Francia e nel 1956 si era trasferito negli Stati Uniti. “Il messaggero dell’umanità”, così venne definito Wiesel dal Comitato Norvegese dei Premi Nobel che lo premiò per il suo “lavoro pratico per la causa della pace”, nel libro di memorie “Tutti i fiumi vanno al mare” (Bompiani 1996) così scrisse:
“Ricordarsi? Che cosa vuol dire? Far rivivere un passato, illuminare volti e avvenimenti di una luce bianca e nera, dire no alla sabbia che ricopre le parole, dire no all’oblio, alla morte”.
Wiesel in tutta la sua vita difese le vittime, i sopravvissuti, gli oppressi, lui che era stato testimone della totale umiliazione e del disprezzo per l’umanità cui aveva assistito nei campi di concentramento nazisti. A sessantacinque anni decise di ripercorrere il suo passato, iniziando dall’infanzia felice nella piccola città tra i Carpazi, i genitori, Sarah Feig, figlia di un rinomato chassid e Shlomo Wiesel, appassionato umanista che lo accompagnò nello studio dell’ebraico e della Torah e le tre sorelle, Hilda, Beatrice, Tzipora. L’orrore dei campi di sterminio dove Elie, numero tatuato sul suo braccio sinistro, fu “A-7713”, lasciò i genitori e la sorellina più piccola dai “capelli d’oro”. Una famosa foto scattata a Buchenwald nel 1945 è la perenne testimonianza di ciò che accadeva in quei campi.
La seconda vita di Wiesel, anzi “la sopravvivenza” come lui stesso la chiamava, incominciò dapprima in Francia, poi in giro per il Pianeta, infine l’approdo nel Nuovomondo, negli Usa. Grazie al mestiere di giornalista Wiesel assistette ai grandi avvenimenti della seconda parte del “Secolo breve”, conoscendo personaggi importanti e capi di Stato, diventando amico personale di François Mitterand e Primo Levi. Ora Elie Wiesel è scomparso, la sua voce di denuncia e ricordo si è spenta per sempre. Resta, però il grande valore di una persona straordinaria che pur senza mai dimenticare e con cicatrici nell’animo, pur continuando a lottare tra dubbio e fede, seppe sempre guardare avanti, continuando a credere nell’amicizia, nell’amore e nella pace. In una parola, nell’uomo. Un esempio imprescindibile in questi difficili momenti che l’umanità sta vivendo.
“Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai”. “La notte”. Elie Wiesel
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Addio a Elie Wiesel, sopravvissuto all’Olocausto, Premio Nobel per la Pace
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