Adelaida di Adrián N. Bravi

Siamo nel 1976 a Buenos Aires, e assistiamo con orrore alla corsa di una giovane donna, Mini, con in braccio una bambina di pochi mesi, nello zoo della capitale argentina, che affida la piccola a una coppia di ignari turisti svizzeri e cerca di mettersi in salvo, ma verrà catturata: siamo in piena dittatura militare di Videla, i giovani argentini dissidenti vengono imprigionati, segregati, torturati, e molti di loro spariranno nel nulla. Anche Mini farà la fine di tanti Montoneros.
Ma la storia che racconta questo intenso memoir è quella di Adelaida, sua madre, nata in Italia nel 1927, a Recanati, figlia di un artista italiano, il pittore Lorenzo Gigli.

La vita piena, ricca, interessante di questa Adelaide, poi Adelaida, ci viene raccontata da una voce narrante che la incontra dopo una vita trascorsa in Argentina, dove la famiglia si era trasferita nei primi anni 30, e che la ritrova nel 1988 a Recanati, quando la donna ormai sessantenne, fa la ceramista, scrive racconti, è una vera intellettuale stravagante, originale, intelligentissima: ha lasciato in Argentina ben due figli desaparecidos, Mini e il fratello Lorenzo Ismael, figli dello scrittore argentino David Vinas, ha vissuto tante vite, ha incontrato scrittori, artisti, musicisti, ha fondato una rivista letteraria, ha scritto poesie…

Laggiù sono rimasti i figli immortali / amanti irrequieti e consumati. / Laggiù è rimasta la Grazia.

Sospesa tra due mondi, tra due continenti, tra due lingue, tra due nomi, privata dell’amore dei figli, costretta a fuggire da una terra di torture e di morte, Adelaida che vive sotto la Torre del Passero solitario leopardiano, è una donna consumata ma ancora molto vitale, sigarette e whisky sempre in mano, malgrado analisi alterate ed una malattia degenerativa in agguato.
I ricordi della vita in Argentina, dal tempo di Peron a quello delle dittature, sono segnati dalla consapevolezza che il suo lavoro creativo di artista è inficiato da un’esistenza priva di libertà e dei diritti essenziali, mentre la sua vita personale è massacrata dalle scelte coraggiose che porteranno i due figli a perire nel gorgo delle sparizioni nelle camere di tortura o negli aerei da cui venivano gettati i martiri inconsapevoli. Nel libro l’autore nomina decine di artisti, pittori, scrittori, musicisti che hanno conosciuto e apprezzato Adelaida.
È una storia di esilio, di amore incondizionato per i figli perduti, per un paese amato ma abbandonato, per una nuova patria riscoperta, accettata. Adelaida muore in una casa di riposo nel 2010 dopo nove anni di solitudine, quasi dimenticata, malgrado abbia lasciato molte tracce forti.
Una sua affermazione, che riporto:

Mi trovo di fronte ad una contraddizione: la mia spiritualità e maturità in un’altra terra, deve affrontare e capire la realtà italiana. Il mio passato come latino americana, il mio presente come europea. La consapevolezza di queste due situazioni determina un solo problema: cercare un’identità , che in definitiva è quella di essere donna.

Una donna che tenta di affermarsi in quanto tale, in tempi precedenti al femminismo militante, parlano di una profonda consapevolezza, di un grande coraggio intellettuale, di una onestà di fondo a dispetto delle tragedie pubbliche e private attraversate nel secondo Novecento.
Il diario che Mini aveva scritto per la piccola Inès, fortunosamente riparata con gli zii negli Stati Uniti, ci danno la speranza che Adelaida e i suoi figli non siano vissuti invano. L’autore del libro nella nota finale ricorda che a Recanati un parco giochi è stato intitolato ad Adelaide Gigli e una formella di ceramica ricorda la sua opera di artista con le mani. Il suo testamento spirituale è affidato a poche versi intensi :

“Quando io morirò / moriranno tante cose / questo amore, in primo luogo. / Io sono tutte quelle cose. “