Album
- Autore: Claudio Grisancich
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2013
Un album è uno scrigno di sogni e di ricordi; racchiude il senso di una vita e/o di più vite, il soffio che il tempo non cancella ma anzi rende più intenso, più inciso in noi, con ciò che di indelebile si trova nelle generazioni.
La silloge in triestino (con traduzione) Album di Claudio Grisancich (Hammerle Editori, 2013, p. 105), impreziosita da foto in bianco e nero di Stefano Visintin, racchiude le memorie personali del poeta, ma insieme lo spirito della città di Trieste e in special modo di un quartiere, di una via abitata nell’infanzia; è la Trieste che fu nella prima parte del secolo scorso.
Ma contiene pure lo Zeitgeist, lo "spirito del tempo" caro a Herder e a Goethe, spirito comune a tutta la società in un dato periodo. Come tale, Album diventa un discorso prezioso di conoscenza, che la poesia suscita insieme all’immedesimazione con il testo da parte dei lettori. I quali non è detto che appartengano alla stessa generazione dell’autore, ma il miracolo sta proprio nella capacità evocativa e nell’infondere semi partecipativi in chiunque abbia il desiderio di gustarla. Nello "spirito del tempo" si individuano i grandi temi universali comuni a ogni età, raccontati in un particolare e unico modo mitico.
Claudio Grisancich sa essere mitico. Chi ha avuto il piacere di ascoltarlo scopre che si tratta anche di un ottimo attore. Sa entrare nel testo con una grazia e una passione uniche. La sua poesia è fluente, rapsodica; par di vederla via San Michele, cuore pulsante di questo libro, com’era in un tempo che precede l’età dell’attuale consumismo sfrenato. La via è animata da una serie di negozietti che diventano il prolungamento della casa e la strada è solo un salotto più esteso, serpentiforme, dove nascono e muoiono amori, si incontrano ragazzi e figure di un’umanità viva. Questa chiede udienza, entra in noi di getto in modo assoluto e resta per fissarci negli occhi e dirci l’essenziale. Essenziale dell’esserci, Dasein direbbe Heidegger, per amare, patire, condividere e poi inevitabilmente sparire perché tutto scorre, era e non è più. Ma per restare.
Questa contraddizione del nulla e dell’esserci diventa una ferita amorosa, una cifra di lettura del testo, con tutta la sua carica di vitalismo, malinconia, dolcezza, accettazione della caducità trasformatasi in saggezza, ma necessariamente passando per una disfatta di tipo esistenziale e quindi privata, intima, ma anche storica, collettiva. È libro di memorie di un asciutto lirismo, in cui la sociologia gioca la sua parte e, implicitamente, sono implicate anche altre scienze come l’economia, la storia delle tradizioni popolari, la psicologia. Poema in cui l’ethos, l’etica, i valori, e l’epos, le gesta minuscole dei numerosi protagonisti, sono intrecciati e danno l’aria natia, favolosa.
Eccola, la via archetipica di ogni vita, piccola vita da toccare con mano, è come toccare il proprio corpo:
"La prima casa a destra gaveva / in t-el porton l’edicola de do / fradei gobeti tacada l’osteria" (la prima casa a destra aveva/ in entrata l’edicola-giornali di due / fratelli gobbetti con accanto l’osteria)
E più oltre:
"el glicine che riposava sora la / casseta de le letere contrastando / l’oleosa de la salumeria in fianco" (il glicine che riposava sopra la / cassetta della posta e contrastava / l’aria oleosa della salumeria a fianco)
E così via, con un tratto descrittivo e insieme onirico che fa pensare a ciò che Pessoa vedeva da un angolo ancora più angusto, da una semplice tabaccheria, metafora dell’universo. Anche via San Michele diventa questa metafora ricca di sentimento. Potremmo additare molti ritratti (che il lettore farà suoi con simpatia immediata), come accade nell’Antologia di Spoon River. L’accostamento a Lee Masters è del prefatore Walter Chiereghin, ma nel poema americano tutto è già sepolto e dorme nel cimitero, mentre in Grisancich tutto è attualizzato, è ora con una vivezza impressionante, palpabile; e non è l’errore o il clima di protesta e di denuncia a prevalere come in Lee Masters, ma l’incanto, perfino negli episodi più dolorosi come l’emigrazione, il Monte di Pietà raggiunto per racimolare qualche soldo portando in pegno qualche piccolo tesoro di famiglia, e poi la solitudine patita ma vista dagli altri, altri sempre vicini e mai estranei:
"i lo sentiva ‘rivar d’i passi su le scale / ’n armeron de omo intristì che squasi / no ’l parlava de quando i lo gaveva / lassà in tera dopo ’ver navigà ’na vita" (lo sentivano arrivare dai passi sulle scale / un armadio d’uomo intristito che quasi / non parlava da quando lo avevano / sbarcato dopo aver navigato una vita).
Un uomo solo, ma "lo sentivano" e il verbo dice tutta la comunione, l’essere insieme di allora, un vivere comunicando e conservando la propria individualità, realtà cementata dalla koiné, il dialetto triestino parlato da ogni classe sociale, simbolo identitario di un mondo coeso. Possiamo chiederci se non sia questa la felicità, la relazione.
Il poeta serba attimi indimenticabili, come quelli di un giorno di scuola, con il rumore del pennino che traccia segni quasi sacri per il bambino, nel quaderno. Oppure
"muleto el se contentava de poco / sàlgari a puntate dopo magnà / domenica a la radio che ’l ‘scoltava" (ragazzino si accontentava di poco / le avventure di Salgari al pomeriggio / di domenica alla radio che lui ascoltava).
Sono squarci di esistenze che profumano di mondo antico, di quell’accontentarsi di poco innocente, saturo di immensità. Nel grembo della strada anche il dolore sembra sparire con la fantasia al potere nell’età dei giochi collettivi:
‹de fioi la strada iera nostra / la strada iera el mondo /e n’ocoreva gnente / che un fià de fantasia› (da ragazzi la strada era nostra / la strada era il mondo / e non occorreva nient’altro / che un po’ di fantasia).
Che ne è stato di via San Michele? Che ne è stato di un vivere nell’Eden, dove sembrava che tutto andasse al ritmo di un cuore solo?
Oggi via san Michele è una via smorta, sono spariti i numerosi negozietti che la grande industria falcia inevitabilmente. I bambini non vivono più in strada, non esiste più il profumo del glicine e anche ciò è mitico ma al negativo, nella decadenza, un percorso paradigmatico nel nostro tempo dell’incomunicabilità e della solitudine sancita dal postmoderno. Via San Michele oggi è un dito che indica la crisi epocale mondiale con migrazioni di popoli ridotti alla fame dal clima mutato, da guerre, dalla politica economica perseguita dal monopolio.
Il poeta canta dolorosamente lo spegnimento della via, non entra nel perché e nelle cause a monte, ma quel dito che indica è bastevole, subito la nostra intelligenza pensa a via San Michele come il mondo... Grisancich adulto vi torna da novello Ulisse amareggiato, scoprendo un’Itaca diversa, "l’Itaca che ‘l credeva / lo ‘spetassi desso" (l’Itaca che credeva / lo attendesse adesso) non è la terra promessa, è spoglia e in più punti abbandonata, assomiglia a un cimitero, con "finestre orbe" cieche e "portoni tombe no’ più / alegro porto de boteghe" (portoni tombe non più / l’allegro porto di botteghe). Questa la verità drammatica consegnata alla nostra coscienza smarrita.
Sarà davvero la fine, il tramonto dell’Occidente profetizzato da Spengler? Racchiuso in una stretta via in salita sulla collina di San Giusto a Trieste...
Sapremo risorgere?
Claudio Grisancich è pure poeta e scrittore in lingua e drammaturgo di qualità. Ha collaborato e collabora con la Rai. Ha ricevuto il Primo Premio di poesia dialettale Biagio Marin nel 2011 e il Primo Premio Giovanni Pascoli nel 2012.
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