Guascone come D’Artagnan, eccessivo come Porthos, Alexandre Dumas non può che suscitare simpatia. Entusiasta della vita, esagerato e geniale, muore il 5 dicembre 1870 a 68 anni.
È la fine di un’esistenza che scorre tra fiumi di inchiostro e pagine scritte, continui rovesci finanziari e grandi guadagni grazie a un inesauribile successo di pubblico. E poi cibo, donne, viaggi, in un susseguirsi di esperienze e aneddoti.
C’è spazio perfino per una parentesi alle dipendenze dei musei più famosi d’Italia.
Alexandre Dumas, tra ghostwriting e talento per le storie
Pessimo amministratore, Dumas ha un talento per le storie. Sa cosa piace al pubblico e da un aneddoto crea un romanzo.
Sono oltre trecento le opere che compone in vita, grazie anche al supporto di ghostwriter che, secondo la tradizione, imbastiscono per lui le trame.
Eppure tra gli scrittori è uno di quelli che rappresenta una sicura garanzia di piacere per il lettore: chi da ragazzo non ha amato i Tre moschettieri, Il conte di Montecristo. Merito dell’equilibrio perfetto tra audaci invenzioni e ricostruzioni accuratissime.
Non è un caso: per i suoi libri pesca a piene mani nella storia e nell’arte alla continua ricerca di ispirazione.
Alexandre Dumas cataloga il patrimonio degli Uffizi
Così nel 1840 colpito da un rovescio economico si rifugia a Firenze. Non si preoccupa troppo: è certo di potersi risollevare.
Il Plutarco che scriverà la mia vita non mancherà di dire che ero un cesto bucato, dimenticando di aggiungere, naturalmente, che non ero sempre io a fare i buchi nel cesto.
Responsabilità a parte, la svolta non si fa attendere. Dumas è preceduto dalla sua fama e a Firenze riceve una proposta irrinunciabile: 70 mila franchi per realizzare un catalogo degli Uffizi.
Un impegno notevole per chiunque, non per lo scrittore che non viene meno alla sua straordinaria vena produttiva. Il risultato è un’opera monumentale: La Galerie de Florence edita nel 1844. Cinque volumi, preceduti da due capitoli introduttivi sulla famiglia dei Medici e seguiti dalle vite dei pittori e artisti, con tanto di catalogo delle opere. Con la consueta cura filologica, Dumas consulta le fonti, legge manoscritti, documenti e tutto il materiale disponibile. Si informa, fa ricerche specifiche.
Michelangelo, Tiziano, Raffaello come I tre moschettieri
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L’opera a tiratura limitata è presto introvabile. Ma le Edizioni Clichy ne hanno di recente rieditati alcuni estratti:
- I Medici. Splendore e segreti di una dinastia senza pari;
- I Tre maestri: Michelangelo, Tiziano, Raffaello in una singolare analogia con i tre moschettieri (traduzione di Viviana Carpifave, pubblicati rispettivamente nel 2018 e 2019).
Ma Dumas, come suo solito, non si limita ai dati: ricrea ambientazioni, dialoghi, romanza vite ed episodi dando vita a una narrazione appassionante, rivelando il talento di romanziere prestato alla realtà. Sarebbe stato un professore di storia superbo.
Dumas direttore degli scavi di Pompei per tre anni
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Vent’anni dopo è in Sicilia al seguito di Garibaldi per l’impresa dei Mille di cui è finanziatore e biografo d’eccezione.
L’eroe dei due mondi ha per lui una sorpresa: arrivati a Napoli lo nomina Direttore del museo archeologico e degli scavi. Alexandre Dumas si ritrova così soprintendente dell’area di Pompei, carica che ricopre per tre anni fino alle dimissioni e al ritorno in patria.
C’entrano il successo de La Sanfelice (Adelphi, 1999), monumentale romanzo che dedica alla città. E, pare, il malcontento crescente dei residenti nel vedersi governati da uno straniero.
Il mosaico di Dumas a Pompei
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Dell’esperienza partenopea restano gli articoli del quotidiano bilingue l’Indipendente che Dumas fonda, dirige e scrive in autonomia, e le descrizioni de Il Corricolo (pubblicato per la prima volta nel 1843, in Italia per Colonnese nel 2004), resoconto di viaggio da Roma a Napoli. Di certo già allora vive appieno il conflitto tra la meraviglia di fronte alle scoperte di Pompei e la complessità delle operazioni di recupero e conservazione di un’area vasta.
Memorabile è la narrazione del mosaico di Alessandro, rinvenuto nella Casa del Fauno. Lo racconta rammaricandosi di non avere abilità pittoriche da mettere a disposizione del lettore. Finta modestia, la sua, anche considerata la descrizione che dà del condottiero macedone:
L’uno, che sembra avere una trentina d’anni, monta una cavallo di quelli belli ed eroici come ne aveva scolpiti Fidia nel fregio del Partenone, Egli è a testa nuda, porta i capelli corti e delle basette che si raccolgono sotto il mento ed ha come armi difensive una corazza riccamente decorata con maniche di stoffa e una clamide che, passando sopra la spalla sinistra, ricade ondeggiando dietro di lui.
E non si lascia sfuggire l’occasione di ironia di fronte alle discussioni degli studiosi contemporanei che dibattono sull’identificazione della battaglia e dei suoi protagonisti.
Rendetevi conto: un enigma scientifico da spiegare, un problema archeologico da risolvere! Che grande fortuna per gli studiosi! Perciò tutti si sono precipitati sul grande mosaico e ciascuno vi ha visto una battaglia diversa.
Meglio, molto meglio, il folle di Charenton che è convinto di essere un grande pittore e porta tutti davanti a una tela bianca che crede il suo capolavoro.
“Che rappresenta? Domandava il visitatore”
“Rappresenta Gli Ebrei al passaggio del Mar Rosso!"
“Ma scusate! E dov’è il mare?”
“Si è ritirato”
“Dove sono gli ebrei?”
“Sono appena passati dall’altra parte”
“”E gli egiziani?”
“Stanno arrivando”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quando Alexandre Dumas lavorò per gli Uffizi e diresse gli scavi a Pompei
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