Alfredo
- Autore: Valentina D’Urbano
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: TEA
- Anno di pubblicazione: 2015
Ho memorizzato la data! E non ho bisogno di segnarla sul calendario o sui dispositivi elettronici che ci fanno sempre più compagnia. Mancano pochi giorni al 25 agosto! Mancano pochi giorni all’arrivo in tutte le librerie dell nuovo romanzo di Valentina D’Urbano, “Non aspettare la notte”, edito da Longanesi.
Lo sto aspettando e, in una notte dei primi di agosto, quando non cedo alle lusinghe di Morfeo, inganno l’attesa immergendomi nelle pagine di uno dei precedenti romanzi della scrittrice romana: rileggo “Alfredo” (TEA, 2015).
Non un motivo preciso accompagna questa scelta: era, temporalmente, l’ultima lettura firmata D’Urbano che avevo fatto. In realtà non cerco un perché: ci sono decisioni che non vanno spiegate, sono quelle fatte con l’istinto del cuore. Ci sono momenti che non vanno descritti, ma semplicemente vissuti e raccolti in un silenzio che sa raccontarli meglio di qualsiasi parola.
Ma in una delle prime notti di agosto cerco di spegnere i rumori di un’intensa giornata, immergendomi in un’altra vita, regalandomi altre forti emozioni. Quelle che trovo in una storia che mi toglie il respiro e stringe fortemente una morsa intorno al mio stomaco. Una storia che profuma di verità dura, amara, tagliente, schietta. Sincera.
Già nel 2010, mentre scriveva “Il rumore dei tuoi passi” e raccontava la storia dal punto di vista di Beatrice, Valentina D’Urbano si domandava cosa stesse succedendo nella testa dell’altro "gemello". Ha voluto provare a raccontare di Alfredo e si è lasciata trascinare dalla storia, scrivendola con quella passione che governa la vita e che traspare dallo stile di una scrittrice talentuosa e innamorata del suo mestiere.
Avevo già letto “Alfredo” e, prima ancora, per più di una volta, “Il rumore dei tuoi passi”. Conoscevo la storia che si apre sull’infanzia del protagonista, quando Alfredo viveva in quel posto “che tutti chiamavano il campo e che per lui era solo casa”.
La lettura segue il ritmo della scrittura, senza perdere un solo battito, lasciandosi trascinare, avvolgere, travolgere. Il fiato sospeso, il respiro trattenuto e le lacrime pronte a offuscare la vista, mentre lo sviluppo della storia ti colpisce come un forte pugno allo stomaco e il dolore di Alfredo inizia a scorrere nelle vene, a pulsare nel cuore. E resto senza parole, quando Alfredo confida al lettore:
“Con gli anni avrei imparato che la maggior parte delle volte è così che si muore, con gli occhi e la bocca aperta, coma se tutti i tuoi ricordi e la vita e le cose che ami uscissero insieme al respiro.
Come se tutto quello che sei stato ti abbandonasse dimenticandosi di chiudere la porta”.
E seguo il suo percorso, con il forte e vano desiderio di cambiare il destino a un personaggio a cui mi ritrovo affezionata, a cui mi scopro sempre più affezionata, provando il dolore per ogni suo livido, sentendo il male per quel sopracciglio spaccatogli con la scarpa dal padre ubriaco.
Il ritorno alla Fortezza ha un sapore nuovo: conosco già quel quartiere attraversato da strade con l’asfalto mangiato, con gli angoli pieni di immondizia e polvere, ma ora lo guardo attraverso i chiari occhi di Alfredo e mi sembra di essere entrata, per la prima volta, con lui, in quel luogo sicuro, in quel posto che diventa per lui una prigione.
Rincontro Beatrice e guardo anche lei con gli occhi del suo "gemello". Alfredo sente l’odio che Beatrice nutre nei suoi confronti. Un odio nato, prima di tutto, dal timore che lui potesse fregarle la madre. Un odio che si assopisce, trasformandosi prima in una ruvida amicizia e poi in un amore selvaggio, struggente, tragico.
Alfredo si presenta in tutta la sua fragilità, nel suo desiderio di riuscire a vincere la dipendenza dall’eroina, per provare a rendere felice Beatrice, per provare a regalarle sorrisi.
Non c’è tempo, non ci sono rallentamenti, né esitazioni. Le ore della notte scorrono, ma il tempo è dettato dalla lettura di un libro, nel quale mi rituffo. Dal quale riemergo solo quando giungo alla fine, provando un senso di amara solitudine. E le prime luci del nuovo giorno accarezzano la tristezza di una lettore che sente la nostalgia dei protagonisti di una storia scritta con la passione, con il talento di una giovane scrittrice, che si afferma e si conferma sempre di più come una delle voci più intense della narrativa femminile (e non solo) italiana (e non solo).
Perché, credetemi, tornare nelle pagine di un libro già letto, e trovarsi immerso in una storia come se non la si conoscesse, senza che le emozioni perdano forza e intensità, è l’indiscutibile prova della maestria di Valentina D’Urbano che sa raccontare e raccontarsi, con la sensibilità e il cuore di una giovane donna che sa ascoltare e guardare la vita. E portarla con tutta la poesia, dura, tagliente, sincera nei suoi imperdibili e avvincenti romanzi, impregnati di verità e scritti “con i cocci rotti delle bottiglie”.
Alfredo
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