Epifanica come una manifestazione, dolorosa come un ricordo, Alla madre di Mario Luzi ha il sentore di una poesia ermetica ma infine appare in tutta la sua tragica realtà umana, come il racconto di un’assenza.
In questi versi il poeta si rivolge alla madre scomparsa e immagina la sua presenza fantasmatica che permane imprigionata nelle cose, sussiste in ciò che è familiare ed emana calore come un tiepido fuoco che mai si spegne.
Alla madre Margherita, dal 1946 al 1990, Mario Luzi ha dedicato innumerevoli componimenti, la considerava una figura centrale della sua esistenza: da viva, la cantò come “mia eterna margherita” nelle sue operose mani da vecchia, nella voce che pregava, nello sguardo limpido; da morta, piange il vuoto incolmabile da lei lasciato e la trasforma in una “guardiana del tempo” che si fa custode della memoria e del trascorrere delle generazioni cucendo, come un’abile tessitrice, il passato con il presente.
La figura della madre, secondo Luzi, lascia in noi un marchio: la convinzione di essere stati “troppo amati”, e la fame di un tale amore non si sazia mai.
L’autore la ricorda come una donna mite, proveniente da un mondo arcaico di “religione contadina ed elementare” che gli ha insegnato a trasportare tutte le cose in uno spazio di interiorità e meditazione intensamente vissuto. Così le rende omaggio in un canto quasi metafisico in cui la donna riesce a farsi presenza persino nell’assenza.
La poesia Alla madre è tratta da Un brindisi, la terza raccolta di poesie di Luzi edita da Sansoni, a Firenze, nel 1946.
Scopriamone testo, parafrasi e commento.
“Alla madre” di Mario Luzi: testo
Forse, infranto il mistero, nel chiarore
del mio ricordo un’ombra apparirai,
un nonnulla vestito di dolore.
Tu, non diversa, tu come non mai:
solo il paesaggio muterà colore.
In un nembo di cenere e di sole
identica, ma prossima al candore
del cielo passerai senza parole.
Io ti vedrò sussistere nel vago
degli sguardi serali, nel ritardo
dei fuochi che si spengono in un ago
di luce rossa a cui trema lo sguardo.
“Alla madre” di Mario Luzi: parafrasi
Una volta infranto il mistero della morte forse apparirai dentro un mio ricordo luminoso come un’ombra, una creatura inconsistente vestita di dolore.
Sarai tu, non diversa da come eri da viva, tu come non lo sei stata mai: solo il paesaggio alle tue spalle cambierà colore. In una nuvola di cenere e sole sarai di nuovo tu, identica a come eri, ma passerai senza dire parole ormai più vicina alla purezza del cielo.
Eppure ti vedrò continuare a esistere nella vaghezza degli sguardi familiari della sera, nel bagliori di luce dei fuochi quando ormai si spengono e si riducono a un ago sottile che fa tremare lo sguardo.
“Alla madre” di Mario Luzi: analisi e commento
La poesia di Luzi ricorda la vaghezza metafisica dell’ultimo Montale che indaga il rapporto tra il qui e l’altrove, tra il terreno e l’aldilà e cerca invano di modulare un richiamo per portare le parole nel regno dei morti.
Se Montale nella poesia A mia madre ricordava la devozione religiosa della donna e si domandava con angoscia: “chi ti proteggerà adesso?” Ecco che Mario Luzi, invece, rendeva omaggio alla carità cristiana della madre Margherita immaginandola più vicina al cielo e dissolta in un’epifanica nuvola di luce. Dove Montale vede il buio, l’inconsistenza del tutto, il vuoto della strada e la mancanza di indicazioni, Luzi trova la consolazione dell’affetto che rimane. Entrambe le madri sono ombra, ma si tratta di due ombre molto diverse tra loro, inequivocabilmente distanti.
Luzi immagina la madre distante dal tumulto cinereo della guerra che condensa qui nella sembianza oscura del “nembo di cenere”: la donna è ormai lontana da tutto ciò che è oscuro, vive nella luce.
In questo Mario Luzi sceglie di aderire più allo stereotipo di madre ungarettiano:
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
“Come una volta mi darai la mano”, scrive Ungaretti immaginandosi unito alla madre come da bambino, quando si lasciava condurre da lei docilmente lungo le strade della vita. Nel pensiero di Ungaretti sarà la madre, divenuta angelo, a condurlo al cospetto del Signore in un ipotetico regno dei cieli; mentre Luzi traspone l’anima della madre nella realtà transitoria delle cose terrene, la sente vivere in tutte le cose vaghe e indefinite che sembrano esistere in questo mondo e anche nell’altro.
Io ti vedrò sussistere nel vago
degli sguardi serali, nel ritardo
dei fuochi che si spengono in un ago
La madre ora è custodita nel conforto degli sguardi familiari che ci accolgono a sera dopo una lunga giornata, nel calore dell’amore che conforta, come un fuoco che mai si spegne e persiste a emanare luce sino a farci tremare lo sguardo. Nei versi finali Luzi trasfigura il materno nel “troppo amore” ricevuto che ha lasciato in lui come un’impronta indelebile. Il simbolo dell’ago che si assottiglia è un rimando al tempo che scorre, ma la fiamma del focolare domestico persiste in una luce rossa che continua a farsi faro e custode pur nell’incertezza e nelle insidie dell’esistenza.
Lì, in quella luce rossa, c’è l’amore che rimane, la vera presenza che non sta nella lontananza di un cielo fastidiosamente azzurro ma qui, sulla terra.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Alla madre”: la poesia di Mario Luzi per la madre scomparsa
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