Amato ragazzo. Lettere a Hendrik C. Andersen 1899-1915
- Autore: Henry James
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
Quando c’è un carteggio dello scrittore Henry James, uno dei grandissimi di fine Ottocento e inizio Novecento, che scrive a un giovane scultore, c’è sempre la curiosità che James si lasci andare, che riveli una maldestra bisessualità o semplicemente un amore verso i giovani che lo avvicinano.
Un Socrate a Londra. La verità è che lo scrittore americano scrive tanto ma non dice mai niente e, se dovessimo dare retta alle sue lettere, Henry James è stato un uomo che ha rifiutato il sesso nella sua totalità, che dopo una lunga vita potrebbe non aver avuto rapporti sessuali né con donne, né con uomini.
Ma essendo un genio, su questo argomento non ha detto niente di significativo, e poi chi se ne importa, se non fosse che gli editori mettono sempre un titolo ambiguo, per attirare lettori.
In questo caso il titolo è Amato ragazzo. Lettere a Hendrik C. Andersen 1899- 1915 (Marsilio, 2000, curatela di Rossella Mamoli Zorzi, postfazione di Elena di Majo, con testo a fronte), dove le uniche concessioni a un affetto e a una ammirazione per il giovane scultore sono dei reiterati "My dear, my dear" , caro ragazzo più che amato ragazzo.
Le lettere di Henry James sono straordinarie, perché sembra sapere tutto sulla scultura, come sa tutto sulla scrittura e i talenti sono talmente tanti che l’unico risultato può essere la meraviglia di un uomo non più giovane che ha più spirito dello scultore. Che avrà presumibilmente aperto la corrispondenza se non altro che per bearsi della scrittura di un uomo così poliedrico.
La prima volta che si incontrarono fu a Roma, città che James amava a piccole dosi, perché la trovava caldissima d’estate e troppo umida in inverno.
Strano a dirsi ma lo scrittore amava il clima inglese, quasi un paradosso, pur vivendo isolato nel Sussex, in un piccolo paesino, dove trovava la forza per continuare a scrivere, anche per motivi economici. E poi i suoi soggiorni a Londra erano sempre una gioia. Amava quella grandissima città, la sentiva simile al suo temperamento. Lo scultore americano-svedese lo portò a Via Margutta per vedere le sue opere e Henry James ne comprò una che mise sul caminetto della sua casa.
Raffigurava donne nude e uomini nudi; lo scrittore non aveva problemi morali ad ammirarli. Ma il carteggio è pieno di fatti che non corrispondono alla realtà. L’americano britannico alla fine, in oltre sedici anni di lettere, vide di persona lo scultore solo sette volte. Praticamente nemmeno una volta all’anno, mentre le lettere hanno un piglio spontaneo come se si fossero visti la sera prima.
E, nel corso degli anni, lo scrittore trovò orribili le sculture di Andersen, che erano diventate enormi, sproporzionate e glielo disse senza nessun problema.
Altri incubi premevano sullo scrittore; evitata la guerra civile in America, si trovò di nuovo in un conflitto mondiale e morì, dopo un attacco cardiaco, non vedendo mai la sua Inghilterra in assetto di guerra.
Gli anni sereni erano finiti e Henry James aveva avuto una vita lunga, prolifica.
Chi scrive, dunque, inserisce un estratto di lettera, per far capire che Henry James è anche un grande scrittore di lettere, e in questo carteggio non c’è traccia di nulla di morboso:
Mio caro, caro Hendrik...devi aver avuto una estate eroica e per me, sarebbe orribile venire a sapere da te che la tua ricompensa non consisterà in un liberale assaggio della nostra nordica frescura. Ma spero che contribuiscano a farti allontanare per un poco da Roma.
E lo scrittore lo ripete in continuazione che non si capacita di come il ragazzo, ormai cresciuto, abbia scelto di vivere in una città così calda come Roma.
Lui non potrebbe viverci anche se l’estate inglese è stata piovosa e fredda. Il testo a fronte, ci conduce verso lettere più piane e tranquille, da leggere con una tazza di tè tra le mani.
Anzi sembra che Henry James non abbia poi così voglia di vedere lo scultore, intravisto solo sette volte e spesso di fretta, perché la condizione è che lo scultore vada a Londra e non lo scrittore a Roma, perché soffre nella città italiana, la trova dispersiva e afosa.
A ogni modo, i carteggi jamesiani sono bellissimi come i suoi romanzi e racconti.
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