La realtà è così pesante che la mano si stanca, e nessuna forma la può contenere.
L’11 Febbraio del 1996 moriva suicida Amelia Rosselli, grande poetessa del nostro Novecento letterario. Terminò i suoi giorni in un volo, gettandosi dalla finestra della sua mansarda di via del Corallo, a Roma. Per la sua uscita plateale dal palcoscenico del mondo Rosselli non scelse una data casuale: l’11 febbraio, lo stesso giorno e lo stesso mese del suicidio di Sylvia Plath, poetessa da lei amatissima che aveva contribuito a tradurre e diffondere in Italia.
Negli ultimi mesi era precipitata in una depressione irreversibile, senza scampo. Da anni ormai Miss Rosselli sentiva le voci, era convinta di essere perseguitata dagli agenti della CIA. Forse l’ossessione risaliva addirittura alla sua tragica infanzia: era un tormento iniziato il giorno della morte di suo padre, Carlo Rosselli, assassinato per volere di Mussolini.
Le voci ora risuonavano nel suo cervello culminando in esaurimenti nervosi, il dolore era diventato una costante, continuava a entrare e uscire dalle cliniche. Nessun ricovero riusciva davvero a guarirla.
Con dolore, negli ultimi tempi, aveva ammesso che anche la poesia “l’aveva abbandonata”: una simile ammissione era già un presagio funesto, un’ombra oscura, poiché senza la poesia non valeva la pena vivere. Amelia Rosselli non scriveva più: forse fu questo a ucciderla.
Amelia Rosselli: una vita dolorosa
Amelia era nata a Parigi il 28 marzo 1930, figlia di Carlo Rosselli - esponente di spicco del partito socialista - e di Marion Cave - attivista del partito laburista britannico. È esule, apolide e trilingue fin dalla nascita. In seguito avrebbe detto che il cosmopolitismo non era una condizione che aveva scelto: lei non era cosmopolita, la sua, in realtà, era una famiglia di “rifugiati”.
L’infanzia di Rosselli è segnata dalla tragica morte del padre Carlo e dello zio Nello, uccisi dai seguaci di Mussolini a Ciano il 9 giugno del 1937. Da quel momento Amelia entra in un cupo terrore: l’ossessione di essere perseguitata la inseguirà per tutta la vita.
La giovane Amelia vive una vita apolide tra la Francia, la Svizzera, l’Inghilterra, gli Stati Uniti. Inizialmente si dedica alla musica: studia teoria musicale, composizione, musicologia. Suona il violino e il pianoforte e scrive le sue prime poesie in inglese e in francese, non in italiano.
Alla fine degli anni Quaranta, dopo la precoce morte della madre si trasferisce a Roma. Nella capitale inizia a lavorare per come traduttrice per alcune case editrici, a Firenze e a Roma, dedicandosi nel tempo libero a studi filosofici e letterari. La svolta nella sua vita arriva negli anni Sessanta quando, dopo essersi iscritta al Partito comunista, inizia a farsi notare scrivendo per alcune riviste. Il primo a notarla è Pasolini che nel 1963 pubblica alcune sue poesie per la rivista Il Menabò. L’anno successivo sarebbe uscita la sua prima raccolta poetica, Variazioni belliche, edita da Garzanti. Nel 1969 sarebbe uscita la sua seconda raccolta di versi Serie ospedaliera.
Nel frattempo la cospicua produzione letteraria inizia ad affiancare le recensioni letterarie pubblicate su Paese sera e L’Unità.
Le sue pubblicazioni erano alternate a frequenti esaurimenti nervosi, attacchi schizofrenici e paranoici. A soli trentanove anni iniziò a soffrire dei primi sintomi di Alzheimer. Il dolore e l’angoscia della perdita la perseguitarono per tutta la vita: orfana, esule, apolide, la sua unica dimensione di appartenenza era la scrittura, le parole l’unico luogo in cui riusciva a ritrovarsi, a tenere insieme i molteplici frammenti di sé.
Era magra come un uccellino, magra di una magrezza straziante, ancor oggi sembra interrogarci dalle fotografie con i suoi grandi occhi chiari, scavati, che appaiono sempre smarriti in un altrove, forse in un futuro imprendibile.
Che m’aspetti il futuro! Che m’aspetti che m’aspetti il futuro
biblico nella sua grandezza, una sorte contorta non l’ho trovata
facendo il giro delle macellerie.
Amelia Rosselli: una voce poetica inconfondibile
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Rimane la sua voce poetica, che è inconfondibile: Amelia Rosselli sembra aver creato una scrittura a sé, la scrittura del dolore. Un impasto linguistico senza precedenti che fondeva e amalgamava in sé tre lingue: italiano, inglese e francese, che lei parlava perfettamente e mischiava nella mente, nei pensieri, nei sogni. Tre lingue che infine ne componevano una sola: drammatica, feroce, vertiginosa, che era soltanto sua.
Le parole nelle sue poesie guizzano come pesci d’argento imprendibili che nuotano in un abisso oscuro. I versi sono chiamati a raccolta per arginare il caos, per anestetizzare la mente malata, per far tacere il dolore che invade il corpo, di colpo, a ondate.
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Oggi la sua poesia sperimentale è stata scoperta e apprezzata da un numero sempre maggiore di lettori: la lingua primordiale, viva, magmatica di Miss Rosselli raccoglie seguaci e consensi perché sembra avere la capacità “trasformativa” di ricreare il mondo.
Cieca sono che tu cammini
e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini
ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.
Immagine: copertina Meridiano Mondadori dedicato all’opera di Amelia Rosselli
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Amelia Rosselli: vita e opere della poetessa del nostro Novecento
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