Amras
- Autore: Thomas Bernhard
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2014
Pubblicato in lingua tedesca nel 1964, e tradotto da noi per la prima volta nel 1989, "Amras" è stato definito da Thomas Bernhard “il libro prediletto”, non solo perché condensa nelle sue pagine i temi e le atmosfere più tipiche della propria scrittura (la dissoluzione di un ambiente geografico e culturale, l’ambivalenza distruttiva dei rapporti familiari, la polemica contro il perbenismo claustrofobico della borghesia), ma anche perché utilizza una tecnica narrativa decisamente originale, strutturandosi polifonicamente in brani contrapposti di esposizioni diaristiche, aforismi, citazioni letterarie, epistolari, ricostruzioni biografiche, visioni allucinatorie, materiali scientifici, servendosi di una sintassi complessa e franta, ribelle a qualsiasi linearità logico-temporale.
Nella recente edizione milanese di SE, con l’ottima traduzione di Magda Olivetti, il romanzo è corredato da ricche note biobibliografiche, da un’interessante appendice fotografica e soprattutto da un’approfondita ed esaustiva postfazione del germanista Luigi Reitani, che ne ricostruisce sapientemente le fasi di composizione, le vicende editoriali, l’accoglienza critica e le motivazioni letterarie ed extra-letterarie alla base della sua elaborazione.
Due fratelli ventenni vengono segregati per alcuni mesi in una torre successivamente al loro tentato suicidio, seguito a quello perpetrato dai genitori. Voce narrante è K., studente di biologia, che vive un rapporto simbiotico con il più giovane Walter (“il mio Walter”), musicista e ne documenta il declino fisico e mentale, accentuato da una grave forma di epilessia ereditata dalla madre, fino alla morte volontaria di lui. Amras è il nome della torre in cui i due fratelli sono richiusi, proprietà dello zio materno che provvede a mantenerli in questo stato di prigionia onde evitare loro la reclusione in manicomio: si tratta di un edificio freddo e buio, nei dintorni di Innsbruck, in cui i due ragazzi tentano di ricostruire le loro esistenze, in una morbosa relazione di reciproca dipendenza omoerotica, rievocando con rabbia e nostalgia il loro passato familiare, l’ostilità dell’ambiente tirolese, gli amati studi scientifici e letterari.
K. ricompone le tristi vicende che hanno lentamente condotto i genitori alla catastrofe economica e alla disperazione esistenziale, convincendoli all’esito drammatico del suicidio: il patrimonio finanziario sperperato dal padre, la malattia mentale della madre, l’atmosfera persecutoria e funerea in cui sono stati cresciuti, il culto elitario per la poesia e l’arte non condiviso dalla cerchia parentale e cittadina. Esclusione e auto-esclusione, senso di inferiorità commisto a un’eccessiva considerazione di sé, complessi di colpa e repressione di ogni istinto vitale, avevano minato dalla prima infanzia il loro carattere e ogni qualsiasi serena disposizione nei riguardi della vita.
Nella torre, i nostri pensieri andavano soprattutto all’infanzia, perduta per via della catastrofe… abbandonati a noi stessi, la nostra infanzia era stata guidata dai nostri genitori, grazie al loro sapere e al loro sentire, con invisibile rigore… più tardi dai medici e dalle loro arti nel prescrivere ricette, dalla disperazione materna e paterna… un triste declino di tutto ciò che ci permetteva di sbocciare timidamente oscurò l’ultimo decennio della nostra vita in famiglia… attorno a noi, dentro di noi e insieme a noi, tutto s’andava sgretolando, lo si vedeva, come in pensiero, dalle persone, dalle case…
Un’angosciante voluptas mortis pervade tutta la narrazione di Thomas Bernhard, che percepisce la quotidianità come costrizione e violenza, brutalità della natura e della civiltà sull’uomo, che vanamente tenta di crearsi un altrove ideale in cui sopravvivere (Gelo, Estinzione, Perturbamento, In terra e all’inferno, La cantina, A colpi d’ascia, In hora mortis, La fornace, Il freddo, Costrizione, Il soccombente, Sotto il ferro della luna, sono i titoli che emblematicamente indicano l’ossessiva negatività del suo universo espressivo). Ma qui, in "Amras", l’autore sembra raggiungere l’apice della “consapevolezza tragica e piena del suo incancellabile dolore", come scrive Luigi Reitani, pur nell’umanissimo rimpianto per quello che la vita ‒ con i suoi suoni, le luci, la poesia, gli affetti – potrebbe regalare.
Amras
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