Anche Francesco le diceva
- Autore: Natale Fioretto
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
Turpiloquio sì, turpiloquio no. Quando una parolaccia è lecita? Quando enfatizza un concetto e, d’un tratto, lo rende palese? Il tono o il contesto, possono fare la differenza? E in questo caso, allora, non saremo noi a dare un connotato negativo ad una parola che invece di per sé non ne avrebbe?
Colui che utilizza un linguaggio scurrile è ghettizzato dalla società, peggio ancora se bestemmia, poiché il suo modo di esprimersi diventa, immediatamente, sinonimo di scarsa cultura. Non tutti sono credenti, è vero, ma essere tolleranti denota una certa apertura mentale.
Eppure, partendo dal fatto che anche Francesco d’Assisi dicesse qualche “mala parola”, e che personaggi pubblici, come ad esempio Beppe Grillo, ne abbiano fatto addirittura il loro “cavallo di battaglia”, possiamo affermare che non tutto ciò che è “volgare” giunga per nuocere.
Vi sono parole che, nel corso dell’utilizzo, hanno cambiato il loro significato primario, e ne hanno assunto uno nuovo, che sa tanto di semplice intercalare. “Cazzo”, per esempio, è entrato nel linguaggio comune e, seppur nessuno intenda dire che sia cosa fine, certamente non allude in maniera diretta al membro maschile. Così come “un casino”, che non fa riferimento a un luogo frequentato da prostitute, bensì è diventato sinonimo di caos.
E potremmo fare tantissimi altri esempi, e parlare di questo argomento all’infinito.
Il mio consiglio è però quello di leggere il piccolo libro di Natale Fioretto, “Anche Francesco le diceva” (Graphe.it, 2016); un breve saggio di nemmeno quaranta pagine, dove si possono consultare riflessioni interessanti rispetto all’uso delle parolacce e alla loro capacità di rendere diretto un discorso.
L’autore è docente di lingua italiana presso l’Università per stranieri di Perugia. È appassionato di Francesco d’Assisi, quel Francesco a cui il titolo allude. Inevitabile che il pensiero corra subito a un altro Francesco, protagonista dei nostri anni. Ma questa è un’altra storia.
Fare appello all’imprecazione è caratteristica dell’animo umano. Una sua debolezza o virtù, a seconda che ci si sappia controllare. Come Dario Fo suggerisce:
“Dimmi le parolacce che usi e ti dirò chi sei, da dove vieni, da quale popolo sei stato educato o negativamente condizionato.”
Continuiamo pure a insegnare ai nostri figli che le parolacce non si dicono. Il discorso non è questo. È invece importante sapere che, sebbene argomento “scomodo”, la parolaccia è passata attraverso secoli di evoluzione, di cui forse neanche sospettavamo l’esistenza.
Anche Francesco le diceva. Una riflessione sociolinguistica sull'uso delle parolacce
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