Il nome di Anna Maria Ortese compare spesso nelle antologie scolastiche: però è citato di fretta, quasi di sfuggita, posto accanto ad altre grandi scrittrici del Novecento, Elsa Morante e Natalia Ginzburg. Ortese fa quindi parte del “terzetto formidabile” delle scrittrici italiane novecentesche: rappresenta la punta non sommersa dell’iceberg, è tra le più lette e citate, non è stata consegnata all’oblio come è accaduto ad altre autrici ingiustamente dimenticate (basti pensare a Fausta Cialente o Alba de Céspedes, per citarne solo alcune).
Anna Maria Ortese dunque spicca, brilla, appare nero su bianco su libri e manuali di letteratura, spesso accanto a un estratto del suo libro più famoso: una raccolta di racconti Il mare non bagna Napoli, edito da Einaudi nel 1953, che vinse il “Premio Speciale Viareggio per la Narrativa”. Letta, citata, osannata, ma mai approfondita: della sua vita sappiamo poco, quella nelle antologie è riportata solo attraverso le date di nascita e di morte, pochi cenni biografici, come l’iscrizione su una lapide al cimitero. Sappiamo, ad esempio, che nel 1967 fu la terza donna a vincere il Premio Strega, dopo Morante e Ginzburg, con il romanzo Poveri e semplici.
Nelle sue opere ritorna, come una costante, il “mare”: il movimento marino che scandisce il ritmo della sua scrittura visionaria, intrisa di realismo magico e connotata da uno stile particolarissimo a metà tra saggio e racconto. Il “mare di Napoli”, ma anche il mare di tutte le città che lei ha abitato nel corso della sua esistenza nomade: per scoprire Anna Maria Ortese dobbiamo partire da qui, dal mare; e solo così sapremo che in realtà la sua vita è stata molto diversa da come l’avevamo immaginata e, proprio per questo, avventurosa e, a suo modo, straordinaria.
Scopriamo la sua vita e le sue opere.
Anna Maria Ortese: la vita
Leggendo i libri di Anna Maria Ortese mi ero fatta un’idea molto precisa di colei che si nascondeva dietro la scrittura: è abitudine dei lettori, del resto, comporre la biografia immaginaria di uno scrittore basandosi su ciò che scrive. Mi ero fatta un’idea precisa, ma molto sbagliata. Credevo fosse una donna ricca, colta, benestante, dalla vita tranquilla e agiata. Ebbene, come vedremo, non era nulla di tutto questo: fatto che, senza dubbio, ce la renderà più simpatica e affine e trasformerà la sua biografia in una storia avvincente.
Qualcosa, del resto, avremmo dovuto intuirlo già dalla prefazione scritta di suo pugno all’edizione de Il mare non bagna Napoli del 1994. Quattro anni prima di morire Ortese scriveva di aver ritratto Napoli come una città dolente e piena di ombre perché in quell’immagine rifletteva “il suo personale spaesamento e il suo rifiuto nei confronti della realtà”: questo, sosteneva Anna Maria Ortese, l’aveva condotta a vedere solo il male ignorando la gioia di cui pullulava la città. Insomma, quasi si scusava di aver scritto un capolavoro.
Anna Maria Ortese nacque a Roma il 13 giugno 1914, agli albori della Prima guerra mondiale. Ortese era la seconda di cinque figli e la sua famiglia era povera: il padre, Oreste, era un funzionario prefettizio, mentre la madre, Beatrice Vaccà, una nobile napoletana decaduta. La sua infanzia è raminga: Anna Maria si trasferisce in diverse città per obblighi di lavoro del padre, dalla Puglia alla Campania sino alle coste libiche, per poi stabilirsi nel 1928 a a Napoli.
Non ha una vera formazione scolastica, apprende da autodidatta e frequenta, per un breve periodo, delle scuole commerciali. Si appassiona da sé alla letteratura leggendo romanzi per diletto e così scopre la sua vocazione di scrittrice.
I suoi studi discontinui e mancati rendono la figura di Ortese scrittrice ancora più degna di ammirazione: una vera self made woman, un homo novus - per dirla alla latina - declinato al femminile.
Il suo debutto avvenne nel 1933 sulla rivista L’Italia Letteraria sulla quale Ortese pubblicò tre poesie. Una delle poesie si intitolava Manuele ed era dedicata al caro fratello marinaio morto in mare al largo dell’isola di Martinica mentre sistemava le vele di una barca. Lo strazio della tragedia ritornerà spesso, come un’eco, in tutte le opere della scrittrice. L’identico destino toccherà anche a un altro fratello di Ortese, Antonio, anche lui marinaio. che morirà in Albania in circostanze misteriose. Proprio lo smarrimento nato da quei dolori spingerà Anna Maria a mettere mano alla penna. L’anno seguente, sulla stessa rivista, Ortese pubblica il suo primo racconto Pellerossa e si fa notare da Massimo Bontempelli. Nel 1937, su consiglio di Bontempelli, la casa editrice Bompiani dà alle stampe la sua prima raccolta di racconti Angelici dolori.
Va detto che per Anna Maria Ortese non fu solo legata a pure velleità e ambizioni letterarie, ma anche una impellente necessità di guadagnarsi il pane. In quegli anni iniziò a lavorare come correttrice di bozze per Il Gazzettino e, tempo dopo, iniziò a collaborare come redattrice per riviste e quotidiani più famosi come Il Messaggero, Il Mattino, L’Ateneo veneto e Il Corriere della Sera.
Gli anni della guerra sono anche gli anni di un continuo vagabondaggio per l’Italia: Ortese attraversa tutta la penisola, da nord a sud, come in un viaggio attraverso l’inferno nel mezzo delle macerie e delle rovine.
Nel 1945, al termine della Seconda guerra mondiale, si rifugia nella sua vecchia casa di Napoli ormai mezzo diroccata insieme alla sorella Maria. Qui inizia a collaborare con la rivista culturale Sud e, nel 1950, viene pubblicata la sua raccolta di racconti L’infanta sepolta cui farà seguito, appena tre anni dopo, il capolavoro Il mare non bagna Napoli. Nessuno mette in dubbio il valore dell’opera di Ortese, ma le sue posizioni critiche nei confronti della società letteraria dell’epoca non la fanno ben volere dai critici. Persino il suo libro-capolavoro solleva un polverone di polemiche; viene definito “un libro contro-Napoli” perché la gente non accetta di vedere la verità nelle sue parole che avevano ritratto, con crudezza ma anche con uno sguardo di pietà, le condizioni di miseria della Napoli del Dopoguerra.
Ortese riprende a viaggiare, va all’estero, a Londra e poi a Mosca, da dove scrive reportage per l’Italia. Si trasferisce a Milano e, infine, in Liguria sempre in compagnia dell’inseparabile sorella Maria. Il rapporto sororale ebbe un’incidenza determinante nella vita di Anna Maria Ortese: convisse con la sorella per tutta la vita e non le riuscì mai di abbandonarla. Negli ultimi anni le sorelle Ortese vissero in difficili condizioni economiche: i proventi delle pubblicazioni di Anna Maria erano scarsi e la pensione di impiegata alle poste di Maria non era sufficiente per mantenerle entrambe.
Ortese stessa nel libro Il corpo Celeste si trovò ad analizzare amaramente quella sua condizione:
E penso di non essere un vero scrittore se, finora, non mi è riuscito di dire neppure lontanamente in quale terrore economico – e quindi impossibilità di scrivere – viva, in Italia, uno scrittore che non prenda gli Ordini. E che non abbia avuto, nascendo, nulla di suo, neppure un tetto.
Testimonianza del suo insuccesso editoriale è anche la prima edizione de Il porto di Toledo (1975) che fu portata al macero. Anna Maria, però, credeva nel suo scritto e continuò a lavorarci ostinatamente sino alla fine dei suoi giorni: quel libro raccontava la sua infanzia raminga, la sua adolescenza napoletana e, naturalmente, parlava di mare:
Potrei ricominciare da capo, se volessi, aggiungendo tante altre cose che mi sono sfuggite. Ma tutto quello ch’è passato davanti ai miei occhi, in tutti questi anni, si stende già in un solo tono uniforme, in un solo colore azzurro, dove questo o quel particolare non hanno più importanza di un vago arricciarsi di spume o brillare di pagliuzze d’argento. Il mare!
Nel 1988, mentre Ortese versa in difficili condizioni economiche, Roberto Calasso di Adelphi decide di ristampare le sue vecchie opere, tra cui L’Iguana, che conosce un nuovo e inatteso successo venendo tradotta anche in Francia da Gallimard.
Grazie al sostegno del poeta Dario Bellezza, che promosse una raccolta firme, ad Anna Maria sarà assegnata la pensione prevista dalla legge Bacchelli con la quale riuscì a sostenersi sino alla fine dei suoi giorni. Nel 1993 il nome di Ortese conobbe un successo tardivo grazie alla riscoperta editoriale di Adelphi che finalmente riuscì a valorizzare le sue opere nel panorama culturale dell’epoca. Lei era ormai una signora anziana, dalla delicata bellezza senile e il volto incorniciato dai capelli bianchi.
Si spense sola nella sua casa di Rapallo il 9 marzo 1998, all’età di ottantatré anni. La cara sorella Maria l’aveva preceduta di tre anni.
Oggi una sezione speciale del “Premio Rapallo Carige per la donna scrittrice” porta il nome di Anna Maria Ortese. Nel 2018, in suo onore, è stato istituito anche il premio letterario “L’Iguana” che riprende il titolo di uno dei suoi romanzi più famosi e immaginifici.
Pietro Citati coniò per Anna Maria Ortese un poetico nomignolo, che le calza a pennello: la chiamò “la zingara sognante”. Un’espressione che racchiude l’essenza più profonda della scrittrice che ancora oggi immaginiamo vagare per i vicoli pieni di vento della sua Nuova Toledo, la città senza confini della sua immaginazione.
Anna Maria Ortese: le opere
I romanzi di Anna Maria Ortese sono stati pubblicati dalla casa editrice Adelphi.
Ricordiamo le sue opere più importanti: da quello che è ritenuto il suo capolavoro Il mare non bagna Napoli (1953) a L’Iguana (1965) sino a Il porto di Toledo (1975).
La prima edizione di Il mare non bagna Napoli fu pubblicata nel 1953 nell’iconica collana “I gettoni” diretta da Elio Vittorini. Il libro può essere letto come una raccolta di racconti suddivisa in cinque capitoli che narrano le squallide condizioni della Napoli del dopoguerra, una miseria disperata sulla quale incombe un senso opprimente di rovina. Protagonista dei racconti è “una bambina con la faccia da vecchia” di nome Eugenia che vive in una casa “marcia e umida” di Napoli. Nel primo racconto scopriamo che è “cecata” e quindi la famiglia deve comprarle degli occhiali. La famiglia naturalmente è povera e le fa pesare quell’acquisto, quella spesa spropositata. Quando indossa gli occhiali finalmente Eugenia vede la realtà, il mondo acquisisce dei contorni netti e definiti: ma quando vede il mondo vero, la miseria di Napoli, la piccola Eugenia scopre che era meglio non vederlo. Quegli occhiali tanto sospirati, infine, decide di toglierseli.
Il mare non bagna Napoli
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- L’iguana (1965);
Una fiaba, una ballata o forse una filastrocca, questo romanzo di Anna Maria Ortese è come un incantesimo e ha in sé qualcosa di immaginifico. In queste pagine la scrittrice parla di un’iguana che vive in una piccola isola dispersa nell’oceano. La piccola iguana Estrellita parla e si veste come una donna e si innamora di un uomo, un nobile milanese venuto a comprare l’isola per trasformarla in un paradiso turistico per ricchi.
Presto l’innocenza animale dell’iguana sarà sgretolata e capirà quanto sanno essere crudeli gli uomini.
L'iguana
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- Poveri e semplici (1967)
Con questo romanzo, pubblicato dall’editore fiorentino Vallecchi, nel 1967 Anna Maria Ortese vinse il Premio Strega.
Il racconto è narrato in prima persona dalla diciottenne Bettina che vive in un appartamento in subaffitto nella Milano del Dopoguerra e sogna di pubblicare un libro. Ha già scritto racconti, Bettina, ma ora vuole scrivere un libro vero. Al centro della trama vi è tuttavia una vicenda amorosa: Bettina è innamorata di un giornalista che frequenta la casa, si chiama Gilberto ma lo chiamano Jillià, ma deve scontrarsi con una rivale: Sonia. Inoltre Bettina è decisa votare la propria vita alla scrittura e non al matrimonio e questo contribuisce ad allontanare Jillià da lei. Nel finale i due si ritroveranno e formeranno un coppia insolita - e molto moderna - mantenendo però fermo il proposito di condurre vite indipendenti e votate ciascuna alla propria arte.
- Il porto di Toledo (1975)
Ne Il porto di Toledo Ortese narra una sorta di autobiografia immaginaria attraverso la storia di Damasa Figuera, una bambina vestita da ragazza, che scorazza per le vie, le strade e i pontili e i vicoli “pieni di vento” di una Toledo immaginaria. Nella storia di Damasa, Anna Maria trasfonde la sua storia. Il porto di Toledo è innanzitutto un viaggio all’interno della coscienza, la testimonianza di una vita che si fa poesia e così si trasforma in assoluto.
Il porto di Toledo
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- Corpo celeste (1997)
In questo libriccino, pubblicato nel 1997, possiamo leggere la summa del pensiero della scrittrice: la biografia spirituale di Anna Maria Ortese, l’opera testamento che condensa le sue riflessioni.
Corpo celeste è l’ultimo libro pubblicato di Ortese e racchiude una riflessione profonda che ci riguarda tutti. Molto forte (e attuale) in questi tre testi l’appello ecologista a salvaguardare la nostra “Madre Terra”. Ne consegue una spietata analisi della condizione dell’uomo contemporaneo che ha perso la capacità di vedere le cose ed è perduto dietro la cupidigia di denaro. Alla logica del consumo e del capitalismo, Anna Maria Ortese contrappone la sua visione spirituale della vita.
E conclude:
Solo qualche volta mi sento di appartenere alla specie umana
Non v’è dubbio che era lei, Anna Maria Ortese, la vera iguana: una creatura non umana che aveva a cuore le vicende dei miseri, dei derelitti, degli offesi in barba alla logica imperante. Sarebbe stata una zingara sognante fino alla fine.
Corpo celeste
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Anna Maria Ortese: chi era la scrittrice de “Il mare non bagna Napoli”
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