Novelliere e autore di opere teatrali, l’attività si Anton Pavlovic Cechov ispira all’inizio del XX secolo il regista Stanislavski a creare un metodo di recitazione basato sulla ricerca della sincerità, l’espressione degli stati d’animo e dei mezzi toni. L’autore, al contempo medico e uomo di lettere, crea un’opera che, inizialmente, rappresenta la nostalgia sentimentale e di esotismo slavo. Andando avanti con il tempo la sua opera si rivela una “piccola musica”, come una lucida, crudele e tragicomica versione della condizione dell’essere umano. Vediamo ora la vita di Anton Pavlovic Cechov, le sue opere di maggior rilievo e quelle citazioni che lo hanno reso tanto celebre in tutto il mondo.
Anton Pavlovic Cechov: la vita e le opere
Anton Pavlovic Cechov nasce a Taganrog, porto del Mar d’Azov, il 29 gennaio 1860. Le sue origini sono umili: suo padre lavora come droghiere ed è figlio di un ex servo della gleba si è riscattato risparmiando abbastanza denaro per cominciare una sua attività di mercante. La madre di Cechov, Evgenija Jakovlevna Morozova, è figlia di mercanti.
Anche se non vive un’infanzia felice, Cechov riceve una buona istruzione insieme ai suoi fratelli. Sognatore e innamorato della natura, Cechov impara velocemente a vivere da solo in una famiglia numerosa e con un padre tiranno. Finito il liceo, raggiunge i genitori nel 1879 a Moscatre, dove si erano trasferiti qualche anno prima in seguito al fallimento del padre. A diciannove anni Cechov intraprende gli studi di medicina fino al 1884, quando si laurea e inizia ad esercitare come medico.
Nel corso dei suoi studi universitari Cechov comincia a scrivere novelle e reportage e pubblica sotto pseudonimo in diverse riviste umoristiche. Questi sono gli anni del tumulto politico, gli anni dell’assassinio di Alessandro II. Cechov si tiene ben lontano dagli estremismi e dalle ideologie, mantenendosi a debita distanza da coinvolgimenti politici nell’ambito universitario. Pur rimanendo fuori, freddo e razionale, Cechov ha molto da dichiarare rispetto alla situazione politica, in cui ritiene che la madre dei mali della Russia sia l’ignoranza, che colpisce in egual misura tutte le fazioni.
Cechov vive una sorta di doppia vita come medico e come scrittore. Si se stesso scrive: “La medicina è la mia moglie legittima, la letteratura è la mia amante”. Con il suo talento nella narrazione Cechov impressioni molto lo scrittore Grigorovic e conosce Aleksej Suvorin, direttore del grande giornale conservatore di Pietroburgo "Novoje Vremia" (Tempo Nuovo), che gli offre una collaborazione. Da quel momento Cechov è scrittore a tempo pieno.
In breve tempo l’autore comincia a collaborare con altre importanti riviste letterarie come "Pensiero russo" e "Il Messaggero del Nord". Il primo libro di Cechov è una raccolta di novelle, "Le fiabe di Melpomene", cui segue "Racconti variopinti", raccolta di brevi racconti scherzosi e di ritratti umoristici. Scrive anche "La steppa", altra raccolta di novelle, la sesta per la precisione. Tra la fine degli anni ‘80 e la fine degli anni ‘90 Cechov si dona anima e corpo alla scrittura e in questo periodo avviene un cambiamento nel suo stile: se prima il pessimismo e la triste monotonia della vita sono nascosti tra le pieghe dell’umorismo, a un certo punto diventano dominanti anche se mitigati da una voce di fede e di speranza.
Dal 1887 prendono vita i più famosi racconti di Cechov, pubblicati sotto suo nome: tra i più significativi troviamo: "Racconti", "Miseria", "La steppa", "Una storia noiosa", "Ladri", "Il duello" (1891), "Mia moglie", "Il monaco nero", "La mia vita", "I contadini", "Tre sorelle", "L’uomo nell’astuccio", "La signora col cagnolino", "Una scommessa" e "Nel burrone". Quello che caratterizza i suoi racconti e che li rende unici sono la chiarezza, l’arguzia, la semplicità e il senso dell’umorismo che li rende notevoli. Tramite le parole Cechov è in grado di esprimere il suo profondo rispetto per chi è umile, dando corpo al dolore e all’inquietudine tipici della società di quel tempo.
Anche se comincia a soffrire dei disagi della tubercolosi e se è incapace di trarre vantaggio dalla sua immensa notorietà, Cechov parte per l’isola di Sakalin, ai confini della Siberia, per indagare sul mondo del carcere. Proprio lì i prigionieri vengono portati e vivono una vita drammatica, vita che anticipa ciò che poi saranno i campi di concentramento dell’Europa del XX secolo. Dopo tre mesi lì, Cechov pubblica lo studio geografico, psicologico e sociologico "L’isola di Sakalin". Partendo da questo studio, nel 1893, si ottiene l’abrogazione delle punizioni corporali oggetto della denuncia dello scritto di Cechov.
Nel 1891 Cechov si reca in Francia per curarsi, dove poi torna nel 1894 e nel 1897 e in Italia; nonostante provi immenso entusiasmo per Venezia e per Firenze, la nostalgia per la Russia è troppo forte. Nel 1892 decide di acquistare una proprietà a Melikhovo, dove riunisce l’intera famiglia. Qui si dedica a fare giardinaggio. La residenza viene frequentata spesso dai visitatori e, per avere la pace necessaria alla scrittura, Cechov fa costruire lontano una casetta.
Di questo periodo di vita sono "La camera n° 6", "Il Monaco nero", "Racconti di uno sconosciuto" e "Il gabbiano". Nel biennio 1892-1893 scoppia un’epidemia di colera e Cechov decide di dedicarsi alla sua attività di medico per aiutare più persone possibile gratuitamente. A partire dal 1897 la sua tubercolosi peggiora e lo costringe a vendere Melikhovo e lasciare Mosca alla volta di un clima più secco, quello della Crimea. Vive a Yalta dal 1899 e qui cura un nuovo giardino.
La malattia non lo molla, ma nonostante questo il suo impegno sociale non viene mai meno: fa costruire scuole, allarma la popolazione sulla carestia in arrivo, promuove raccolte fondi. Nel 1901 sposa Olga Knipper, una giovane attrice di teatro che ha conosciuto tre anni prima; mentre lei lavora a Mosca l’uomo rimane solo, esiliato in un posto che non ama. Dopo aver visto il trionfo della sua ultima commedia, “Il giardino dei Ciliegi”, Cechov va in Germania con la moglie per trovare una cura al suo male ma muore in viaggio, a Badenweiler, il 15 luglio del 1904 all’età di soli 44 anni.
Anton Pavlovic Cechov: frasi e citazioni
Vediamo ora alcune tra le migliori frasi e le citazioni più famose di Cechov:
- “L’uomo è stato dotato della ragione e del potere di creare, così che egli potesse aggiungere del suo a quanto gli è stato donato. Ma finora egli non ha mai agito da creatore, ma soltanto da distruttore. Rade al suolo le foreste, prosciuga i fiumi, estingue la flora e la fauna selvatica, altera il clima e abbruttisce la terra ogni giorno di più”
- “Superare quel che di meschino e illusorio impedisce di essere liberi e felici, ecco lo scopo e il senso della nostra vita”
- “Quando hai sete, credi di poter bere un mare intero: questa è la fede: quando inizi a bere, due bicchieri ti bastano: questa è la scienza”
- “Valutati di più: ci penseranno gli altri ad abbassare il prezzo”
- “L’università sviluppa tutte le doti, compresa la stupidità”
- “Si dice che la verità trionfa sempre, ma questa non è una verità”
- “Quello che noi proviamo quando siamo innamorati, forse è il nostro stato normale. L’innamoramento mostra all’uomo come egli dovrebbe essere sempre”
- “Quando mi veniva voglia di capire qualcuno o me stesso, prendevo in esame non le azioni, nelle quali tutto è convenzione, bensì i desideri. Dimmi cosa vuoi e ti dirò chi sei”
- “Più si è raffinati, più si soffre”
- “Dietro la porta dell’uomo felice dovrebbe esserci qualcuno con un piccolo martello fra le mani che, battendo costantemente, rammentasse che l’infelicità esiste e, passata la breve felicità, sopraggiungerà immancabilmente”
- “Fidati del tuo cane fino all’ultimo, ma di tua moglie o di tuo marito solo fino alla prima occasione”
- “L’uomo diventerà migliore soltanto quando gli mostrerete come è fatto”
- “Il talento, è l’audacia, lo spirito libero, le idee ampie”
- “La buona educazione non sta tanto nel non versare della salsa sulla tovaglia, ma piuttosto nel non mostrare di accorgersene se un altro lo fa”
- “Qualsiasi idiota può superare una crisi; è la vita quotidiana che ti logora”
- “Meglio perire per mano degli stupidi che averne gli elogi”
- “Là dove noi non siamo, si sta bene. Nel passato noi non ci siamo più, ed esso ci appare bellissimo”
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