Articolo 353 del codice penale
- Autore: Tanguy Viel
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2018
Regione francese del Finistère, Bretagna, 1990.
Per aver gettato in mare e lasciato annegare, al largo del porto di Brest, il promotore immobiliare Antoine Lazenec, Martial Kermeur è stato arrestato e portato davanti a un giudice, dove gli viene data la possibilità di ripercorrere gli avvenimenti che l’hanno condotto fin lì: il licenziamento dall’arsenale, la separazione dalla moglie e la custodia del figlio Erwan, la proposta del sindaco di occupare la casa all’ingresso del “castello” in cambio della manutenzione della proprietà e, infine, i grandiosi progetti di Lazenec e la tentazione di investire tutta la liquidazione in un appartamento vista mare.
È questa, in estrema sintesi, la trama del nuovo romanzo del francese Tanguy Viel, in uscita per Neri Pozza, “Articolo 353 del codice penale”. Vincitore del Grand prix RTL Lire 2017 e del Prix du public du Salon du livre 2017 di Ginevra, si presenta, pur nella sua relativa brevità – 176 pagine – come una lunga e sofferta confessione, nella quale un dramma personale, conseguenza di un raggiro, per tutti i risvolti che trascina con sé, acquista una dimensione universale ed interroga il lettore anche su questioni che riguardano l’esercizio della giustizia. In particolare, facendo riferimento all’articolo 353 del codice penale, “l’intima convinzione del giudice”, vale a dire il delicato rapporto fra legalità, libertà ed arbitrio.
“La cosa migliore, ha detto il giudice, sarebbe ricominciare tutto dall’inizio, e senza farmi capire se di trattava di una minaccia o di un’ultima opportunità che mi dava: io seduto di fronte a lui su una sedia di legno, più in basso rispetto alla scrivania di quercia o di ciliegio selvatico che sembrava gli facesse da rialzo, là, nei quindici metri quadrati che ci ospitavano tutti e due, nel palazzo di giustizia con le pareti così malconce, in fondo a un corridoio buio”.
L’inizio non è che un volgare caso di truffa e se tocca a Martial Kermeur raccontare l’intera faccenda è solo perché sotto le sue finestre
“sono arrivati più cocci che sotto quelle degli altri cittadini, quasi una specie di vento locale avesse sollevato dei frammenti di vetro e li avesse depositati più spesso davanti a casa mia, come certuni fanno con un bambino in fasce”.
Durante il suo primo incontro, Martial era stato colpito dalla banalità di Lazenec, non di meno, presentandosi con la sua auto sportiva, una Porche, e con “grossi progetti per la penisola”, aveva saputo vendere sogni:
“Una stazione balneare, ho detto al giudice, capisce, una stazione balneare nella rada di Brest. E ho continuato a leggere l’articolo riga per riga, con grandi frasi del tipo che quello che mancava a questo territorio era soltanto la fiducia e il coraggio di progettare il futuro, che c’era potenziale non sfruttato, sosteneva, che da generazioni ce ne stavamo su una miniera d’oro ricoperta di cavolfiori e di carciofi, mentre ormai di fronte a noi si apriva la nuova era del turismo e dello sviluppo...”.
Eppure erano tutti allenati, i residenti, a veder sbarcare di tanto in tanto un tipo bislacco che spiegava le contraddizioni di un territorio con chilometri di costa senza un albergo-ristorante, un parcheggio per caravan o un complesso residenziale di lusso per godersi il paesaggio.
Lazenec era sembrato un pioniere sbarcato su una nuova terra: attoniti e ingenui, gli abitanti avevano esitato fra tirargli una freccia avvelenata o accoglierlo a braccia aperte.
Per farla breve, li aveva convinti tutti, anche Martial Kermeur, con parole come investimento e rendimento, funzionale, luminoso e moderno… Il tutto “a termine”.
Peccato che questo “termine” non arriverà mai.
Sei anni dopo aver firmato un assegno di cinquecentododicimila franchi davanti a un notaio compiacente, senza dire niente al figlio, ancora non c’è niente di niente, solo
“un rettangolo di vuoto a disegnare l’ipotesi di un futuro”.
Tutto, infatti, è stato bloccato prima ancora che venisse fatta la prima gettata di calcestruzzo ed ora non rimangono che le prove del massacro: pietre abbandonate, terra dissodata, qualche paletto e i cartelloni pubblicitari, i ruderi del castello – perché quella di distruggere era la sola impresa che era riuscita a Lazenec.
Certo, sarebbe stato più facile se fosse sparito, se avesse cambiato zona e nome, invece la sua bravura era stata quella di starsene lì, in mezzo a tutti loro, spendendo davanti ai loro occhi la bella sommetta che si era fatto vendendo trenta appartamenti a cinquecentomila franchi l’uno.
E Erwan?
“Alla lunga, capiva. Alla lunga s’è reso conto che la preoccupazione aumentava. Mese per mese ha visto la mia faccia che cambiava, che assumeva un’aria di compatimento quando guardavo là, verso il non-cantiere, l’avanzamento dei non-lavori, ma soltanto il ripetersi dei suoi andirivieni...”.
Il ragazzo era come una pila elettrica che in tutti questi anni il padre aveva caricato, senza mai fermarsi, nutrendolo della sua ossessione e portandolo a compiere un gesto per cui è stato punito con il carcere.
Ma tutta questa energia nera viene ripresa a poco a poco da Martial, fino ad essere abbastanza carico da rimettere tutte le cose a posto, perché non si può aspettare per secoli chissà quale giustizia naturale che forse non arriverà mai:
“Un tipo del genere, signor giudice, un tipo del genere , l’ho capito dopo: se non lo fai sparire tu, non sparirà mai. Tornerà. Sempre”.
Anche in questo romanzo emerge chiaramente il grande talento dell’autore nel dare una voce potente, e commuovente al tempo stesso, al protagonista. Nell’atmosfera ovattata di un ufficio del palazzo di giustizia, egli si confessa davanti ad un giudice-psicologo che lo incoraggia, interrompendolo raramente con osservazioni o domande: un dialogo che, per l’uso quasi costante del discorso indiretto, diventa a tratti un lungo monologo con se stesso.
Il linguaggio appare solo apparentemente semplice, da “operaio”, e si presenta invece ricco di metafore, quasi da intellettuale raffinato; acuto nell’analisi dei moti della propria coscienza, delle sensazioni che ne riemergono, delle tortuosità psicologiche che il conflitto con l’ambiente provoca in lui.
Quasi vestendo i panni dell’avvocato difensore di se stesso, Martial Kermeur esamina, con estrema lucidità e in un crescendo di tensione, ciò che è successo: la manipolazione, il senso di impotenza e di colpa, l’ombra del fallimento, il dolore inflitto alla famiglia, fino alla verità finale ed all’epilogo inaspettato.
Molte sono le immagini meticolosamente descritte che enfatizzano la densità delle sue osservazioni. L’autoritratto di questo personaggio, nel superamento della dimensione personale, assume dunque un valore emblematico: da drammatica testimonianza di un’esistenza, delle sue contraddizioni, delle cadute e dei tentativi di rialzarsi, a denuncia della crisi dei valori della società.
La storia di un uomo che, davanti al suo giudice, ci consegna una straordinaria lezione sull’esistenza, sul significato di colpa, punizione e redenzione.
Articolo 353 del codice penale
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Ho letto il libro tutto d’un fiato. Ho provato di ora in ora tutte le emozioni che ha provato Martial nel vivere prima e raccontare poi la vicenda che lo ha portato a commettere un omicidio. E pagina dopo pagina ho avvertito sempre di più tutto il senso di ingiustizia ed impotenza che anche noi abbiamo, prima o poi, dovuto ingoiare nella vita. Questo lungo racconto mi ha finalmente vendicata di tutte le volte che ho dovuto sopportare la vittoria dei forti sui deboli, dei malfattori sulle persone perbene. Grazie.
Quella dell’intima convinzione è una norma che non conoscevo.
Essa permette di affrontare un reato e il suo conseguente giudizio con un atteggiamento diverso da quello cui siamo abituati.
Ed è sicuramente un racconto potente quello di Tanguy Viel se riesce a suscitare nel lettore i sentimenti liberatori che lei benissimo descrive.