Associazione indigenti. I miserabili a Palermo
- Autore: Matteo Collura
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: TEA
Di Matteo Collura, agrigentino di nascita, giornalista e già redattore culturale del Corriere della sera, fu ristampato dalla casa editrice TEA di Milano (febbraio 2001) il romanzo di esordio Associazione indigenti con l’aggiunta del sottotitolo “I miserabili a Palermo”, dopo che nel 1979 era stato pubblicato dalla casa editrice Einaudi di Torino.
Un libro attento al destino degli umili, potremmo definirlo. E gli umili sono per Collura coloro i quali non dispongono di cose necessarie alla sopravvivenza. Analizzando il titolo, già ci accorgiamo di una singolare connessione: il termine “indigente”, ha scritto Niccolò Tommaseo nel Dizionario dei Sinonimi della Lingua Italiana, dà l’idea della mancanza di mezzi idonei a perseguire uno scopo, mentre “associazione” indica l’aggregazione, l’unione, il sodalizio.
Appare quindi che il racconto muova da un disegno utopistico, dove è tracciata una coesistenza tra la quotidianità dell’inòpia in cui non si scorge alcun raggiungimento di finalità e il tentativo di vincerla o, quantomeno, di lenirla in una coralità da inventare.
Nel libro sono di fondamentale importanza le due epigrafi che introducono la narrazione. Nella prima, tratta da I miserabili di Victor Hugo, leggiamo:
Ora è venuto il momento d’intravedere altre profondità, le profondità luride.
Con essa lo scrittore avverte il lettore che lo scopo è quello di raccontare la realtà sommersa dell’emarginazione. La seconda epigrafe, desunta da Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia, dice:
Per quelli che sono poveri da vivi
(“Ma davvero ce ne sono?” si chiedono i galantuomini “se è difficile trovare una donna di servizio, un ragazzo!”) del resto c’è l’Eca. Perciò, verrà svelato ciò che all’insegna del perbenismo si vorrebbe rimuovere, narrando le menzogne di un modo di amministrare un servizio sociale. La trama, dalla dimensione quasi favolistica, si snoda lungo il tracciato di capitoli piuttosto brevi e rappresenta la cruda disperazione di una Palermo degli anni Settanta.
Giuseppe Boscone, nato e cresciuto in mezzo a case dimenticate in cui non entra il sole, progetta di costituire un’associazione a tutela dei poveri. Le discussioni per stabilire quali debbano essere le strategie, organizzative ed operative del sodalizio offrono uno squarcio di impegno e di partecipazione che sta agli antipodi dell’accidiosa vita del Circolo, rappresentata nell’opera di Savarese, di Castelli, di Sciascia.
Appena il sogno diviene realtà, il “baluardo dei disperati” comincia le manifestazioni di protesta con le quali vengono avanzate precise richieste. Tuttavia si moltiplicano i ricatti, le intimidazioni, le azioni persecutorie messe in atto dalle autorità. Nello scorrere narrativo, i capitoli dove si descrive il ricovero del protagonista, dapprima in ospedale e poi in manicomio, sono un documento esemplare di presenze umane allucinanti. Ma la scrittura più fluida si realizza nei momenti in cui il disagio dei propositi dà luogo ad una ingenua speranza.
Quando gli iscritti all’associazione si ritrovano isolati e senza alcun sostegno, prende corpo la decisione che fa venire in mente il viaggio di Francesco da Assisi a Roma con l’obiettivo di rivolgersi direttamente al Papa. Al ritorno degli ambasciatori delle ferite della vita, la situazione peggiora: gli appigli si rivelano infruttuosi, l’intervento delle forze dell’ordine fa avvertire il crollo delle illusioni e la resa, alla fine, si traduce nella sconfitta di una rigenerazione morale.
La vicenda si avvia alla conclusione con la scena del suicidio di una popolana mentre, nell’ultimo capitolo, il delirio di un indigente si intride di un’atmosfera pressoché irreale, modulata sul motivo della perdita dell’identità. L’eroe positivo così si disperde nel tortuoso labirinto dell’evanescenza da cui non è possibile qualsiasi uscita.
Associazione indigenti pare il riflesso della lotta contadina di Bronte rappresentata da Verga nella novella Libertà; vi sono nel racconto tratti di visionarietà pirandelliana, e anche le suggestioni della sociologia sciasciana che sfuggono alla mistificazione consolatoria.
Di qui la scelta di un umoroso linguaggio icastico, secco e tagliente, attraverso il quale Matteo Collura rende visibile il dolore sociale.
Le immagini hanno la tonalità del chiaroscuro, possiedono a volte la valenza materica del grottesco e pure i dialoghi, scarni ed essenziali, spingono il lettore a partecipare a una vicenda che parla da sola, a uno svolgersi di fatti senza approdo di cui resta la risata smarrita di un misero vinto.
In questo senso, Associazione indigenti è un libro fuori dai luoghi comuni dove la scrittura si fa misura di verità come speranza, ancorché vinta, di rinnovamento civile e sociale.
Associazione indigenti ovvero i miserabili di Palermo
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Associazione indigenti. I miserabili a Palermo
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