In occasione dell’anniversario della nascita dello scrittore Herman Melville, avvenuta il 1º agosto del 1819, approfondiamo un’opera fondamentale della letteratura americana, “Bartleby lo scrivano”, analizzandone gli aspetti più curiosi e le riflessioni scaturite da essi, fino alle interpretazioni filosofiche degli intellettuali contemporanei. Nel racconto di Melville viene descritto il mondo lavorativo americano dell’Ottocento, in particolare la vita d’ufficio e le sue dinamiche sociali, con una chiara critica e opposizione alla visione utilitaristica e stacanovista degli Stati Uniti. La critica viene sintetizzata perfettamente nell’iconica frase che diventa un tormentone del personaggio alienante di Bartleby: “I would prefer not to” (“avrei preferenza di no” o "preferirei di no") con cui si rifiuta in modo ambiguo di svolgere i suoi compiti lavorativi.
“Bartleby lo scrivano” di Herman Melville: la trama del racconto
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“Bartleby lo scrivano” (Feltrinelli, 1991, trad. di Gianni Celati), scritto da Herman Melville nel 1853, tra i più bei racconti dell’epoca moderna, parla di un comico scrivano che rivendica l’ozio e il silenzio, contro tutte le pressioni dell’utilitarismo americano.
Il narratore è il proprietario di uno studio legale a Wall Street, New York. Egli svolge un lavoro riservato con titoli, obbligazioni e ipoteche per uomini benestanti e si definisce come “una persona estremamente prudente e affidabile”. Ha tre dipendenti: Turkey (Tacchino) e Nippers (Chele) sono due scrivani, mentre Ginger Nut (Biscotti allo zenzero) è il fattorino. Turkey, un anziano inglese, è molto efficiente al mattino, ma dopo pranzo diventa insolente e distratto; Nippers, un giovane ambizioso, è agitato e irritabile al mattino, ma lavora bene nel pomeriggio.
Nonostante queste stranezze, il narratore accetta volentieri i suoi dipendenti e, con l’aumento del lavoro, decide di assumere un terzo scrivano. Risponde all’annuncio Bartleby, che si presenta in ufficio come una figura “pallidamente pulita, dolorosamente decorosa, irrimediabilmente squallida!”. Inizialmente Bartleby svolge diligentemente il lavoro di copista, ma si rifiuta di eseguire altri compiti, lasciando il suo capo perplesso con la risposta "preferirei di no" (nell’originale, “I would prefer not to”). Poi smette completamente di lavorare, ripetendo la stessa frase come unica spiegazione.
L’intero racconto rivolge intorno alla frase atipica che lo scrivano pronuncia ogni qualvolta gli venga richiesta una mansione. Il modo sospeso con cui il personaggio interagisce con gli altri, nella sua semplicità, sconvolge l’ordine convenzionale a cui sono abituati gli altri lavoratori, lasciandoli perplessi e alla ricerca di un’interpretazione che dia significato a quella situazione.
Recensione del libro
Bartleby lo scrivano
di Herman Melville
“I would prefer not to”: cosa intende Melville?
Gianni Celati, nell’introduzione a “Bartleby lo scrivano” dell’edizione Universale Economica Feltrinelli, riflette sulla figura di questo personaggio, sulle sue stranezze e sulla frase “I would prefer not to”, traducibile con “avrei preferenza di no”. Celati scrive che la frase di Bartleby non suona in inglese come un vero rifiuto, piuttosto come un modo un po’ manierato di declinare un invito. Non può essere presa per un vero rifiuto a causa del verbo che adotta (il verbo “to prefer”), che ha un uso più formale di altre possibilità per dire la stessa cosa. Una possibile risposta è probabile spunti sulle labbra di qualcuno che è in condizione di evadere una proposta, e si tiene tra il sì e il no, per conservare le distanze e non sbilanciarsi. Ma questo evidentemente non è il caso dello scrivano, a cui la situazione di lavoro non permetterebbe di prendere le distanze dall’avvocato. Si comporta come se non ci fosse niente da discutere, nessun bisogno di accordarsi meglio con gli altri, nessuna minaccia di essere fraintesi dagli altri. È questo che rende la sua frase stranissima, il fatto che sembri priva di intenzioni, dal momento che le intenzioni ci portano sempre a cercare un accordo con gli altri, a cercare il loro consenso, a paventare i loro fraintendimenti.
Nella riflessione introduttiva, Gianni Celati si chiede perché Bartleby smetta di scrivere, domanda che si pone anche l’avvocato, il narratore del racconto, il quale si risponde che la motivazione sia la vista dello scrivano che a furia di copiare notte e giorno si è rovinata. Tuttavia Bartleby è irraggiungibile, insondabile, a causa della sua purissima devozione all’inutilità, che lui chiama “preferenze”, e questo è tutto quello che si riesce a capire. Tutto ciò che l’utilitarismo considera il male del mondo (l’ozio, l’inerzia, la vita senza scopo, il pensiero che riposa silenziosamente in sé) qui ricompare come potenza dello scrivano che attraversa con inespugnabile riserbo il farnetico della vita.
“Avrei preferenza di no”: l’interpretazione del filosofo Slavoj Žižek
Il racconto di queste avventure statiche e impoverite di dramma, svoltesi in un ufficio annoiato di Wall Street, ha ispirato un gran numero di intellettuali dalla sua uscita fino ad oggi, affascinati dalla potenzialità interpretativa dei manierismi così peculiari del personaggio immaginato da Melville. Anche svuotato di azione, il racconto mantiene una forte densità significativa che attraverso le piccole stranezze che mette in mostra, costringe il lettore a spendere un po’ delle sue forze sinaptiche per cercare di comprendere gli atteggiamenti fuori dall’ordinario di Bartleby.
Tra i pensatori contemporanei che hanno avuto più successo con un’interpretazione originale dell’opera di Melville, è impossibile ignorare Slavoj Žižek, filosofo, sociologo e politologo sloveno. Žižek, da anni ormai onnipresente nel calderone web, in parte grazie alle sue idee originali e affascinanti e in parte per il suo stile comunicativo ironico e umoristico, è il filosofo più in voga degli ultimi decenni. È bastato poco quindi per rendere virale la sua interpretazione della frase di Bartleby “I would prefer not to”, ridonando vita e visibilità al racconto di Melville.
Si consiglia la lettura del suo articolo “Would Prefer Not To: Žižek’s Bartleby Politics” che propone una lettura filosofica del racconto trattato, partendo da Žižek e intrecciandosi con molti altri pensatori moderni.
Per Žižek questo racconto ci fornisce una strategia per opporci alle politiche utilitaristiche opprimenti, una via di mezzo che non si pone dalla parte del rifiuto categorico nel partecipare alle attività lavorative, considerato da lui inefficace, ma un atteggiamento obliquo, in cui non si rende esplicita l’opposizione o la resistenza.
Ma quali tipi di nulla e di qualcosa sta proponendo? Esiste un fare qualcosa che in realtà serve a rafforzare ciò a cui si oppone? Žižek la pensa così:
“Meglio non fare nulla che impegnarsi in atti localizzati la cui funzione ultima è quella di far funzionare meglio il sistema (atti come fornire spazio alla moltitudine di nuove soggettività, e così via). La minaccia al sistema utilitarista oggi non è la passività, ma la pseudo-attività, la voglia di “essere attivi”, di “partecipare”, “di mascherare il nulla di ciò che accade”.
La riflessione di Žižek si pone in un contesto di critica culturale del sistema economico contemporaneo, con un’argomentazione molto più ampia che converge poi in queste modalità comunicative originali, come l’idea di partire da una frase iconica di Melville e dal suo racconto ottocentesco per affrontare i temi odierni.
Come osservato, il libro “Bartleby lo scrivano” di Melville ha avuto un ruolo significativo per la letteratura globale non solo in passato, ma continua a ispirare autori e pensatori odierni grazie al forte tema che affronta e allo stile di scrittura che lo contraddistingue.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Avrei preferenza di no”: il dissenso in ambito lavorativo nel racconto di Melville
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