Breve storia del talento
- Autore: Enrico Macioci
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2015
“Il calcio, come la vita, è una battaglia, perciò ci piace, è la possibilità di morire tante volte in vita”.
Provate ad immaginare la vostra vita come una lunga partita di calcio: immaginate di entrare in campo, di iniziare a rincorrere la palla, poi di riuscire a farla vostra. Correte con la palla che attende i vostri piedi, dribblate, avanzate, scartate, raggirate l’ostacolo. Ci siete quasi, siete vicini alla porta, state per fare gol e via, qualcuno riesce a rubarvi il pallone.
Perché in fondo è così la vita, proprio come ce la descrive Enrico Macioci: imprevedibile, veloce, scattante. Un gioco d’abilità, d’istinti e di talenti, come il gioco del calcio.
E se a sfidare la vita è Michele, il ragazzo prodigio che con il pallone non gioca, ma fa magie, allora avrete fra le mani un vero e proprio pezzo di esistenza, un amalgama di colori, odori e sapori che sfileranno davanti ai vostri occhi in una danza tanto appassionata quanto macabra, vibrante d’inquietudine.
Stiamo parlando di quel pezzo di esistenza racchiuso in Breve storia del talento , l’ultimo romanzo di Enrico Macioci (Mondadori, 2015), un testo asciutto, essenziale, che vi metterà faccia a faccia con l’età più crudele della vita di un uomo: l’adolescenza.
Quella che lo scrittore aquilano delinea in queste pagine è una storia che contiene altre storie, una grande cassapanca in cui sono conservate tutte le esistenze che, intrecciandosi tra loro, formano una tela di ricordi, immagini ed esperienze da raccontare a chi vorrà ascoltarvi. È un romanzo di tutti, quelli di Macioci, un romanzo che parla per sé e urla alla collettività, ruggendo contro gli anni più difficili, quelli in cui ci si affaccia alla vita e la vita ci appare più ostinata che mai.
Due ragazzi, Michele e la voce narrante del romanzo, 14 anni l’uno 13 l’altro, condominio Prato Verde. Un cortile, un pallone, un’amicizia. Michele, un giovanotto che viene da una terra lontana, la Colombia, parla poco del suo passato, impegnato com’è a sottomettere la palla che tra i suoi piedi diventa una scheggia, un barlume di luce difficile da catturare. Michele è il talento fatto persona: silenzioso, volitivo, deciso a fare centro, eppure così dolce, premuroso, paterno quasi nei confronti del protagonista narrante, il ragazzo incerto e un po’ timoroso, promessa del calcio fino all’arrivo di Michele. Poche certezze sbriciolate a suon di gol, quelli di Michele, i migliori gol di quel 21 giugno 1990, migliori persino di quelli del mitico Baggio.
È così che nasce l’amicizia, tra una pacca sulla spalla, un gesto di rabbia e qualche lacrima di delusione, subito rinfrancata dall’entusiasmo di anni acerbi, eppure così maturi di fronte alla terribilità della vita.
È racchiuso qui, in queste pagine di vita e di morte, di rincorsa e di atmosfere sonnolente, di attimi mancati e di felicità sbrindellate, tutto il senso caparbio della vita a quindici anni. Un significato che vuole emergere, con prepotenza, all’ombra di estati roventi e curiose, estati di un’adolescenza che ha quasi le fattezze dell’Apocalisse, per chi la osserva da vicino, per chi la tocca con mano. L’animo, ancora puro, di giovani che hanno scavalcato il recinto dell’infanzia e proseguono la loro strada nel bosco degli anni feroci, accoglie la Verità e se ne fa portavoce, in modo schietto, audace.
Michele, Miriam, Valeria, Luigi, Giacomo, Padre Lucky: questi sono alcuni dei personaggi che Enrico Macioci tratteggia in Breve storia del talento , aiutandoli a venir fuori in tutta la loro sincerità. La crudeltà di un rifiuto, la banalità di “No” che brucia, la leggerezza di un bacio che tradisce i pensieri e le illusioni: sono questi gli ingredienti che fanno dell’adolescenza una testimonianza di amarezza e passionalità.
Una su tutte, però, che da tempo ha abbandonato i sentieri dell’età ancora non fertile, è la figura che troneggia proprio al centro del romanzo: Padre Lucky. Parroco insolito, coraggioso, che sfida l’ipocrisia del mondo moderno e si approssima, con coraggio rivelato, alle parole del Cristo Redentore.
“La rabbia e il panico espressi da Padre Lucky per la perdita di Luigi erano stati generalmente condivisi, avevano toccato corde universali ed erano andati a scoperchiare le angosce più atroci”.
Questo fa Padre Lucky: nel mare magnum dell’inconsistenza minacciosa di una realtà borghese e meschina, alza le mani al cielo e dà voce a ciò che si dovrebbe tacere. Scoperchia gli altarini, regala un attimo di autenticità alle menti stanche dei fedeli: Dio ha sottratto alla terra uno dei suoi angeli, così giovane, così scapestrato. E forse questo Dio non è così buono come crediamo, forse questo Dio non c’entra niente con noi, col nostro destino di uomini infranti.
Morte, energia vitale, dolore, gioia, angosce e paure, lacerazioni dell’animo ed emozioni accartocciate all’angolo del cortile del condominio Prato Verde, quello in cui il ragazzino titubante, amico del grande Michele tornerà anni dopo, quando il peggio sembra passato e le case arrancano sotto i colpi della vecchiaia. Tornerà lì, a cercare Michele, la personificazione del Talento che non riesce a fare gol per sé, non riesce a tirare la palla nella porta della sua Vita. Un colpo mancato quello di Michele, che si ritroverà dietro il bancone di un bar, ingrassato e stanco.
In Breve storia del talento Enrico Macioci si dimostra abile scultore nel delineare un percorso formativo che riscopre, assaporandole ad una ad una, tutte le tappe della vita di un uomo che si forma negli anni dell’adolescenza, gli anni cocenti e terribili della gioventù. In un caleidoscopio di riflessioni, di profonde considerazioni sul Tempo che viviamo, che ci rincorre senza scampo, sulla Morte, non necessariamente antagonista della vita, ma forse quasi propedeutica ad essa, sulla capacità di gestire le sensazioni e di indirizzarle in quello stretto canale che chiamiamo Esistenza, Macioci si rivela autore dell’individuo, dell’uomo che sorge e cresce nella naturale imprevedibilità del mondo reale.
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