C’era una volta un fiume di Diane Setterfield

Diane Setterfield ha scritto un’opera veramente originale su un fatto straordinario accaduto sulle sponde del fiume Tamigi. C’era una volta un fiume (Einaudi, 2019, trad. M.C. Dallavalle) inizia come una fiaba su una locanda, lo Swan, sorta sul fiume Tamigi nel Trecento e gestita da una dinastia di donne fino al 1857, anno in cui è ambientato il romanzo.
La locanda è frequentata da battellieri, vagabondi, tutti grandi narratori di storie che vengono sempre più arricchite di particolari man mano che il tempo procede.

Una sera giunge un uomo ferito in modo orribile, Henry Daunt, che porta con sé il cadavere di una bambina. Grazie alle amorevoli cure di un’infermiera, Rita, l’uomo si riprende, ma il fatto straordinario è che la bambina morta rivive. È questo il miracolo. Ma chi è la bambina?
Tre famiglie la riconoscono come propria: una coppia benestante che due anni prima ha perso la figlia dopo un rapimento; una coppia di contadini che ha scoperto la relazione del figlio maggiore da cui è nata la bambina; la domestica di un pastore che la crede la propria sorella minore.

L’autrice gioca con le ipotesi e rende bene il carattere misterioso della presenza della bambina tanto che io avvicinerei Setterfield a Buzzati per la capacità di rendere irreale la quotidianità.
Il fiume ha i suoi segreti, ma ogni famiglia nasconde dei misteri che la rendono diversa da come sembra e questo era già un miracolo nell’Inghilterra vittoriana.
Il finale è a sorpresa come si converrebbe a un giallo (e non lo è).

C’era una volta un fiume un’opera che ha come temi la perdita, gli affetti familiari, il rapporto tra realtà e fantasia, la fine della vita, la morte di Dio (Rita perde la fede, ma alla fine la riacquista), la fine della vita. Il romanzo pone molte domande, ma non dà risposte e per questo dovrebbe essere letto da tutti.