Caduto fuori dal tempo
- Autore: David Grossman
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2012
Un uomo e una donna sono seduti in cucina, a tavola. All’improvviso, l’uomo si alza e dice solo di voler andare “laggiù”, verso un luogo indefinito.
Anni prima, i due hanno perso un figlio e ora quel “laggiù” può solo indicare un luogo lontano dove sia possibile incontrare ancora quelli che non ci sono più.
L’uomo va e cammina per giorni e per notti, fino a quando il suo viaggio viene condiviso insieme ad altre persone, in parte personaggi assai particolari: tra di essi c’è il ciabattino, la levatrice, il duca signore di quelle terre, un vecchio maestro di matematica. Il più particolare di tutti è il centauro, uno scrittore che per quindici anni ha vissuto circondato dagli oggetti del figlio morto e che per metà è uomo e per metà scrivania. Il suo intento è quello di riuscire a bloccare quel dolore con le parole, perché soltanto scrivendo lui riesce a capire davvero le cose.
In realtà, tutti i personaggi hanno in comune proprio questo, il dolore più grande: la perdita di un figlio. C’è chi ha perso il figlio per una malattia, chi per un incidente, e chi, come l’uomo che cammina, che ha visto il proprio figlio cadere in guerra.
Il loro viaggio è lungo e per nulla facile e per un attimo sono convinti di vedere davvero quel “laggiù“. Ma forse, chissà, è soltanto un’illusione. Riusciranno, nonostante l’incertezza, a ricolmare, almeno in parte le crepe dolorose delle loro vite.
Pubblicato da Mondadori nel 2012, “Caduto fuori dal tempo“ non è un romanzo, né un racconto, ma si può definire come una storia a più voci, dove le parole sono pregne di ricordi, di amore incondizionato e di immenso dolore.
Un dolore che David Grossman ha vissuto e vive in prima persona; egli è riuscito a parlare dello strazio della morte del figlio Uri come forse non aveva mai fatto e la sua voce è udibile, soprattutto, attraverso due personaggi in particolare, il centauro e l’uomo che cammina.
Un dolore – quel dolore- che si fonde con il canto e con armonici gemiti.
“La sua morte
mi porta a sentire un seno
e chi non lo succhierà mai,
e sulle pareti del mio utero
creatosi quel giorno
incide
con le unghie
di un prigioniero fuggitivo
la conta dei giorni
trascorsi senza di lui
così, con uno scalpello trasparente
la sua morte
ha scavato in me una consapevolezza:
chi perde un figlio
è immancabilmente donna.“
La forma del libro, vale a dire questa “storia a più voci“, è una forma assolutamente nuova alla quale lo scrittore israeliano non ci aveva abituati. E’ sicuramente una scelta molto rischiosa.
Perfettamente riuscita, ma comunque rischiosa.
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libro molto intenso. leggendo il paragrafo ho sentito dentro di me una forte stretta al cuore. purtroppo anche la mia vita ha conosciuto la parola" dolore". penso che una perdita di un figlio sia la cosa più ingiusta che possa capitare a due genitori.
il padre che non riesce più a vivere senza sentire la voce del figlio; cerca da qualsiasi parte per rivedere suo figlio. quel dolore che ha dentro al suo cuore lo distrugge giorno per giorno!
la vita è dura. ma dentro di noi c’è una speranza che ci aiuta a superare quel dolore, che piano piano diventa un ricordo che ci terrà compagnia fino a quel giorno......
David Grossman si cimenta col drammatico tema della Perdita di un figlio in “Caduto fuori dal tempo”, pubblicato nei giorni scorsi in Italia, dopo l’uscita in Israele nel luglio 2011. Non è la prima volta che lo scrittore israeliano affronta l’argomento. “A un cerbiatto somiglia il mio amore” (2008), iniziato nel 2003, lo concluse dopo che il secondogenito ventunenne, Uri, venne ucciso, il 12 agosto 2006, insieme a tre commilitoni, nella Seconda Guerra del Libano.
Nell’ultima opera l’Autore combatte la sua lotta contro la distruzione, l’oblio, la morte, non alla ricerca di un significato (pseudo) religioso della tragedia che ha colpito lui e la sua famiglia, ma per consegnare il Ricordo e la Memoria, alla Vita, sottraendoli al buio. Il libro, non definibile come romanzo, è, come spiega il titolo, una “Storia a più voci”. Il genere espressivo è assimilabile ad una rappresentazione teatrale su un palcoscenico scarno, dove i protagonisti, le “voci” appunto, confessano la loro storia, alternando prosa e versi. Grossman rivela che il libro stesso ha costruito la propria forma: dato l’argomento non era possibile seguire le normali regole di scrittura. I versi, la poesia salgono direttamente dall’intimo di ciascuno di noi e sono in grado, più della prosa, di mettersi in sintonia col silenzio, quel silenzio che consegue immediato ad un immenso dolore. Nessuno dei personaggi porta un nome proprio, per sottolineare l’aspetto emblematico di quelle esperienze: in ciascuno di loro c’è una parte dello scrittore e di noi.
Una sera, all’improvviso, un Uomo, che ha perduto suo figlio cinque anni prima, si alza da tavola e decide di mettersi in cammino per andare a trovarlo “laggiù”. Invano sua moglie, turbata, cerca di dissuaderlo. Che cos’è quel “laggiù” cui egli allude? Forse il luogo in cui….è successo? No. E dov’è? Nessuna risposta, accettabile per la comune logica. L’Uomo, l’Uomo-che-cammina, non sa che cosa troverà, lascia che siano le gambe e il cuore a guidarlo. Compie, per giorni e notti, attorno alla sua città (una città simbolica, anch’essa senza nome), giri via via più larghi. Egli non è solo: pian piano, come attratti da una calamita gli si fanno compagni di strada alcune persone, diverse per età ed esperienze, ma uniti a lui e tra loro da una comune tragedia: tutti hanno perduto figli o figlie, chi a seguito della guerra, chi a causa di un incidente o di una malattia. Ecco la “Riparatrice delle reti da pesca”, che non pronuncia una parola da più di nove anni: “da allora”, cioè. Una coppia, il “Ciabattino” e la “Levatrice”, ricordano la loro bambina morta, Lilli. La donna non riesce a pronunciare frasi in modo completo, il suo parlare è un balbettio. E il marito tiene ancora tra le labbra dieci chiodi, tanti quante erano le piccole dita della figlioletta che usava baciare. Anche il “Duca”, padrone di quelle terre, soffre lo stesso dolore, così come lo “Scriba delle Cronache cittadine,” e il severo “Vecchio Maestro di Aritmetica”, che scrive la soluzione dei problemi sui muri delle case. Con la sola propria tormentata anima li accompagna, poiché non può muoversi dalla sua stanza, “Centauro”, la parte inferiore del corpo trasformata, col passare del tempo, in scrivania. Si tratta di uno scrittore il quale, da quindici anni, vive circondato dagli oggetti del figlio morto; il suo unico desiderio è dar forma di parole a quella tragedia, ma non vi riesce, soverchiato dal proprio rabbioso dolore. Il cammino prosegue, le persone rievocano con frasi toccanti la vita coi figli, spezzatasi in quell’istante. Capita che, nel ricordare, si sentano in colpa o per averli, a suo tempo, puniti o perché continuano, loro malgrado, a vivere. Provano pure a dialogare l’una con l’altra, quelle persone, talvolta comprendendosi, talvolta polemizzando dentro di sé e tra loro, magari in modo sterile, la sterilità del dolore indicibile e a lungo incomunicabile. Ma arriveranno nel luogo / non luogo che cercano, come una comunità di viandanti, in un’umanità ritrovata, non più estranei, ma vicini i quali, nella loro lotta contro la distruzione e la cancellazione, hanno saputo trovare un significato e una ragione di vita a quella “terra di esilio”. Essi hanno saputo portare il dolore vissuto di genitori, anche a costo di passare attraverso istanti che rasentano la follia, come quando appare loro, di colpo, un misterioso…muro in pietra sulla parete del quale a ciascuno pare di intravvedere scolpiti i lineamenti dei figli amati.
La reazione all’immobilità della morte, al silenzio è avvenuta attraverso la scrittura:
Piene di commovente lirismo sono le pagine in cui egli riflette sulla nostalgia insopprimibile del figlio, intrecciata col gioco crudele della variabile tempo:
Il libro ha comportato due anni e passa di intenso lavoro di cammino e riflessione, dall’aprile 2009 al maggio 2011, come possiamo leggere in calce al testo. Due anni duranti i quali coloro che stanno vicino a Grossman (familiari, amici) si son chiesti spesso dove lo avrebbe portato quel Viaggio. Quello del Viaggio, del resto, eco del biblico Esodo, è tema caro a lui, come ad altri scrittori di Israele. Suggestivo filone della sua poetica, collegato al precedente, è l’Ostacolo rappresentato da una difficile situazione con cui i protagonisti devono confrontarsi. In “Caduto fuori dal tempo” tale Ostacolo è come resistere di fronte alla tragedia della morte di un figlio, evento assurdo contro natura, perfino in Israele, quello strano Paese in cui spesso sono i genitori a seppellire i figli. In un ideale colloquio col suo ragazzo l’Uomo-che-cammina gli confida di voler imparare “a separare i ricordi dal dolore” per essergli accanto ancora di più, ma senza aver paura ogni volta “del bruciore dei ricordi”; per potersi allontanare “solo quel tanto necessario perché il petto possa allargarsi in un respiro completo”.
Non è stato facile leggerlo,come sembra non sia stato facile per l’autore,scriverlo.Persone in movimento,che camminano verso un improbabile luogo,un Laggiù,dove sperano di trovare ,di sentire le persone che non ci sono più.Genitori che hanno visto morire i figli e che non possono rassegnarsi,e continuano a cercare.Ogni personaggio ha la propria storia ed il proprio modo di ricordare,di rivivere anche per un attimo un momento della vita che è stata.E il tempo è attuale,presente,ma anche antico,lontano.Quel girare,intorno alla casa,il primo e gli altri a continuare questo giro,questo cerchio che non si chiude,fino a quando anche loro,da laggiù,non li avranno raggiunti ,per un ultimo incontro che dia senso alla vita,nella morte.