Calende greche
- Autore: Gesualdo Bufalino
- Casa editrice: Bompiani
Un manuale di psicologia dell’età evolutiva, datato ai primi del Novecento, viene rielaborato con seducente invenzione letteraria nel libro di Gesualdo Bufalino “Calende greche” (Milano, Bompiani, 1992), dove una “Postilla” fa da cerniera fra il narrante e il narrato.
La storia, in cui ciascuno può verosimilmente riconoscersi, muove dalla nascita del bimbo e, di tappa in tappa, si conclude con l’età adulta. Il lettore si trova così dinanzi all’evolversi della vita che procede dall’oblio all’identità e si incarna in un determinato luogo dalle singolarissime specificità. E’ la cittadina dello scrittore a fare da cornice e che si apre ai tornanti dell’Ibla, dove i carrubi “hanno antichi colori di sasso e tra le fronde ricoverano stormi di sussiegose cornacchie”. Suggestiva l’evocazione di contrada Canicarao, feudo di campi, alberi e case come pure la sponda del fiume Ippari, dove ci si adagiava a prendere il sole. La “Strata d’è Macci (La Via degli Alberi)”: comincia da qui la storia d’una vita che conosce illusioni e disillusioni. Ma procediamo ora a volo d’uccello e diciamo che dell’infanzia, esercitata sulla tastiera della sensorialità, è colta la valenza conoscitiva del pianto e del sorriso, considerati come prime letture fatte grazie ad uno sparuto alfabeto. Passano le stagioni e la crescita si concretizza coi giochi. Si gioca con il vento, con le nuvole, con giocattoli rudimentali (la corazza di latta, la spada di legno …). Fra i passatempi, ecco spiccare la parola “fantasiare” che introduce al magico universo della lettura .
Belle le pagine dedicate alla pubertà e acquista poi un andamento più memorialistico il racconto “Un trenino del ‘36”, dove il ragazzo sedicenne, studente ginnasiale, traduce mentalmente un “Fiore del male” e si apre ai primi amori. E’ un pretesto il viaggio in treno per divagazioni sentimentali, per conversazioni varie e per la descrizione di personaggi, tra cui in primo piano si colloca Don Feliciano, accattivante figura di prete che insegna religione e si atteggia un po’ a filosofo. Segue l’iniziazione al sesso con la carta d’identità truccata: di sollievo e di festa la sensazione sperimentata per tutti i sensi, “quasi fosse rientrato un’altra volta nel grembo remoto e placido della sua nascita. E’ ora a Catania studente universitario il ragazzo che confonde le fantasie dei sogni con le menzogne del giorno, confida vissuti e pensieri che privilegiano il ragionamento filosofico sui problemi del nascere e del morire, dello spazio e del tempo, visto quest’ultimo come un “pauroso padrone”. Il passo narrativo ha così i tratti di una espressività autobiografica che incanta e introduce a esperienze anche dolorose: il servizio militare e i compagni di naja, la guerra e il ricovero nel sanatorio palermitano della “Rocca”, il ritorno al paese natio e la propria vita di insegnante. Di pagina in pagina si avverte l’eco dei suoi romanzi più noti: quella di Diceria, di Argo il cieco, di Menzogne della notte. La malinconia viene colta nello sgomento d’una vana corsa, d’una tragica visione delle macerie private (la fuga nei ricordi, i dialoghi accorati coi genitori …) entro la grande e fagocitante storia.
L’uso dei tempi si alterna: lo scrittore piega lo stile al presente; utilizza con ironia simulatrice il genere epistolare fra un “io” e un “tu” di un amore problematico, nonché aforismi dal gusto scettico. Verità travestite? Finzioni? Triste di sicuro il consuntivo lungo il filo degli anni, mentre i giorni impossibili, quelli che mai saranno, esplorano il proprio più nascosto ipogeo.
Calende greche
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