Il poeta russo Sergej Esenin è riuscito a dare corpo alla nostalgia, mettendola in versi. Cantami, dunque, e io ricorderò, dedicato alla sorella Šura, è il canto nostalgico per eccellenza, la poesia che avvera il rimpianto.
La definizione corretta di “nostalgia” affonda le radici nel greco antico: deriva da nostos, ritorno e da algos, dolore, dunque può essere definita come il dolore del ritorno. Questo tema ritorna come un sottofondo costante nella poetica di Esenin che sembra sempre ritrarre un mondo in procinto di scomparire. La nostalgia nutre la voce di questo giovane poeta come miele amaro: è un sentimento silente dalle qualità ossimoriche poiché traduce qualcosa che è morto e tuttavia rimane vivo; forse non c’è davvero altra maniera di esprimere la nostalgia se non attraverso la forma letteraria, la narrazione pura in grado di ricostruire il “tempo perduto” come un inganno che però è vero.
Sergej Esenin e la nostalgia di una vita
Nostalgia è il desiderio pungente di qualcosa di passato, il rimpianto vivo del tempo trascorso che, d’un tratto, ti perseguita sottile e angoscioso come un assedio: la memoria rivive incessantemente il ricordo, ma il ricordo non si avvera nella realtà e nemmeno precipita nell’oblio, rimane penetrante e fantasmatico, come un tarlo nella mente, a rammentarti un tempo distante che appare vicino, eppure è irraggiungibile.
La poesia è datata 1925 - come riporta in calce il testo originale; fu un anno determinante nella vita di Sergej Esenin. Il poeta russo sarebbe morto suicida a soli trent’anni proprio sul finire di quell’anno, il 28 dicembre 1925.
Non si tratta di un dettaglio trascurabile, perché questo appunto biografico dona al testo tutt’altro significato: Cantami, dunque, e io ricorderò è una chiara rivelazione di intenti: una lettera d’addio destinata alla sorella Šura che trattiene, tra le righe, la promessa che ogni essere umano chiede tacitamente a ogni essere amato “ricordami e io vivrò per sempre”. Attraverso la memoria della sorella Sergej può tornare bambino, ritrovare l’innocenza perduta e i piaceri semplici dell’infanzia che l’età adulta ha dissipato.
A un certo punto, nella seconda strofa del componimento, Esenin afferma “può darsi che chiuda gli occhi”; una frase che, a posteriori, assume tutt’altro significato. Nel testo il poeta si abbandona dolcemente al ricordo, come in uno smarrimento profondo; nella realtà il giovane poeta russo, da tempo insidiato dal demone dell’alcol, stava prendendo commiato dalla vita, quel “chiudere gli occhi” non aveva solo un riferimento metaforico, ma testimoniava un oscuro desiderio di sparizione e dissolvimento.
Sergej Esenin visse in tempi di rivoluzione, ma non fu un poeta rivoluzionario: i suoi versi militanti sono infatti i meno riusciti, all’epica della guerra preferiva l’epica del ricordo e la narrazione delle gesta semplici del popolo, il paesaggio armonioso e malinconico della campagna. In una sua celebre poesia, Confessioni di un teppista, che dava il titolo alla sua più nota raccolta poetica, Esenin componeva un formidabile autoritratto poetico:
Teneramente malato di memorie infantili,
sogno la nebbia e l’umido delle sere d’aprile.
Le “memorie infantili” sono dunque una malattia per Sergej Esenin, forse la più degna espressione di quella nostalgia che batte nel profondo dei suoi versi.
Cantami, dunque, e io ricorderò prefigura un sentimento di abbandono e intesse, verso dopo verso, con un lirismo sapiente e gentile, la trama del passato.
Solo la letteratura può mostrarci ciò che è perduto ed Esenin lo sa, per questo si serve della poesia, come di un potere, per far risorgere una visione d’infanzia che è nota soltanto a lui e alla sua complice segreta, la sorella Šura. L’amata sorella diventa custode dell’infanzia, come di un regno incantato, ed è lei - con la sua presenza che resiste al tempo - ad avverare il sentimento della nostalgia.
La lirica è contenuta nella più celebre raccolta poetica di Sergej Esenin, Confessioni di un teppista, recentemente edita in italiano da Passigli nel 2021.
Vediamone testo, analisi e commento.
“Cantami, dunque, e io ricorderò” di Sergej Esenin: testo
Cantami la canzone di un tempo,
quella che ci cantava la nostra vecchia madre.
T’ascolterò, lo giuro,
senza rimpiangere le speranze perdute.Canta per me, e al suono
di quel dolce motivo
può darsi che chiuda gli occhi
come per rivedere i contorni del caro viso.Canta, e sarò felice
di non essere stato solo ad amare
il cancello del nostro giardino in autunno,
le foglie gialle del sorbo.Se tu canti e io rivivo il passato
non avrò più disgusto né tristezza
ma tanta gioia; eccola nostra madre,
sento le sue galline che raspano alla porta.E indistruttibile è il ricordo delle betulle
familiari, nella rugiada o nella nebbia
belle con le loro trecce d’oro
e la veste di lino bianco.Per questo il mio cuore s’intenerisce
mentre bevo e ti ascolto:
perfino tu mi sembri una bianca betulla
che si alza sotto le finestre della nostra casa.
“Cantami, dunque, e io ricorderò” di Sergej Esenin: analisi e commento
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Sembra di udire una melodia fare da sottofondo a questi versi, un suono di violini struggente, simile a un pianto sommesso, a stento trattenuto.
Cantami, dunque, e io ricorderò è una poesia che nasce per essere cantata e l’eco del suo triste e prolungato addio intenerisce il cuore.
Tutta la poesia di Esenin, che già in vita fu uno dei poeti più popolari di Russia (lo pagavano un rublo a verso, Ndr), suona come un congedo. Quella poesia popolare trova la sua tragica conclusione nei versi scritti col sangue “Addio, amico mio, arrivederci”, scritti prima di impiccarsi, di propria mano, in una gelida notte di fine dicembre.
In un’altra nota poesia dedicata alla sorella Šura, Sergej scriveva:
In questo mondo io sono soltanto un passante
Una frase che potrebbe essere posta in relazione con i versi precedenti, sino a divenire un vero e proprio “testamento di poetica”: il passante, per definizione, è colui che non rimane, che transita continuamente da un luogo all’altro, come l’immagine simbolica più tangibile della nostalgia.
Il fascino di Esenin per le cose che scompaiono è presente in tutti i suoi versi; ogni sua lirica pare il tentativo, inesausto e angoscioso, di salvare reperti dal naufragio continuo della memoria. Cantami, dunque, e io ricorderò è un appello straziante e assoluto: in questi versi Sergej Esenin custodisce la memoria dell’uomo che è stato, del bambino che ancora vive in lui, e li affida alla sua principale testimone, colei che ha vissuto al suo fianco sin dalla nascita.
Sergej e Šura hanno in comune, inoltre, un rimpianto che si incarna in una presenza vitale: la madre. Il poeta le ridona vita attraverso la “canzone di un tempo”, ricordando così che l’amore di chi ci ha accudito, ci ha nutrito, ci ha sostenuto, non svanisce mai, rimane vivo nel ricordo e forse persino oltre: dove vanno le persone che abbiamo amato? La madre rivive - torna giovane e solida - nell’incanto lirico di questi versi.
Nel finale Esenin, con un procedimento classico e ripetuto nelle sue liriche, trasfigura l’umano nella natura: tramuta la sorella nell’immagine di una “bianca betulla”, altro simbolo ripetuto e onnipresente nelle sue poesie.
La betulla è una pianta di frequente antropomorfizzata nella poesia di Esenin, come ci rivelano anche i versi de La giovane betulla nei quali, infine, viene data parola alla pianta stessa che rivela la sua inquietudine. Le betulle sono dunque parlanti; sono custodi del tempo e della memoria, non solo avverano il ricordo, ma se ne fanno audaci testimoni. Anche in questa lirica vengono trasfigurate in giovani fanciulle dalle trecce d’oro.
Cantami, dunque, e io ricorderò è un canto che attraversa il tempo e si perde nel sussurro del mondo: è racchiuso nelle solide cortecce delle bianche betulle, che ancora trattengono il pianto antico del pastore. Un dialogo intrecciato e ininterrotto lega umano e non umano, entrambi sottoposti al ciclo incostante della ripetizione, a un continuo e inesausto rinnovamento.
“In questa vita morire non è una novità”, scriveva Esenin nella sua ultima poesia, percependo la vita come un’esperienza eterna che si ripete ininterrottamente nel gene della specie, replicando sé stessa.
In un’altra poesia dedicata alla sorella Šura, Sergej Esenin paragonava la donna alla luna di settembre, “ferma e tranquilla”: sapeva che lei sarebbe rimasta, mentre in lui premeva un’intima angoscia che lo conduceva a cantare un unico amore “per la nostra dolcissima terra”.
Tutta la produzione lirica di Esenin si propone come un lungo congedo, come se il poeta si preparasse a prendere commiato dalle cose; ma è in questi versi intramontabili, Cantami, dunque, e io ricorderò, che il poeta russo chiede, più di ogni altra cosa, di essere ricordato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Cantami, dunque, e io ricorderò”: la poesia nostalgica di Sergej Esenin
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