Canti della forca
- Autore: Stefano Bessoni
- Anno di pubblicazione: 2013
“I canti della forca”, secondo l’opera di Christian Morgenstern (“Galgenlieder”), è un poema anomalo che transustanzia il concetto di ossianico in accezione “altra” della vita: come dire che penzolando dal cappio si guarda meglio al mondo, lo si osserva da un focus meno convenzionale, chissà se perché tra-passati (passati aldilà della miopia umana), chissà se perché si scruta in ogni caso da “più in alto”. Fatto sta che gli impiccati di Morgenstern (1871 – 1914), pur se psicologicamente soltanto abbozzati, finiscono col saperla lunga sulla brutalità e sul senso antroposofico della vita (lo scrittore tedesco era un convinto steineriano).
I “Canti della forca” di Stefano Bessoni (Edizioni Logos, 2013), pur muovendo da quelli morgensterniani, sono qualcosa di autonomo dagli originali, sono una Spoon River aggiornata a Neil Gaiman (“Coraline”) e ai film di Tim Burton, sono stanze di vita quotidiana dell’oltretomba, sono attrazione per l’abisso e beffa della morte. Attraverso disegni, figure, parole, filastrocche finto-bambine, sono entrato nelle storie lapidarie di Korf - il piccolo impiccato (chissà mai da chi) -, di Palmstrom, del grande Lalula, di Sophie - l’assistente del boia, e non ne sono uscito più. O meglio, ne sono uscito come si esce da un giro nel tunnel dell’orrore al luna park: con il sollievo di chi l’ha sfangata un’altra volta, e sai che in fondo è stupido ma è così. “I canti della forca” di Stefano Bessoni non vanno spiegati, piuttosto ripercorsi pagina dopo pagina, con occhi da vecchio-bambino che scherza col fuoco, che ha ancora paura del buio ma non se ne vergogna; “accarezzati” golosamente, per non perdersi un goccio della loro strana malia, della bizzarra fascinazione che promana dai loro ritratti saggi e dialettici, più accattivanti che paurosi, malgrado i teschi, le orbite vuote, i corpi enfi o scheletrici, i pendagli da forca, malgrado il fatto che la parte di te che ancora teme il perturbante non vorrebbe essere coinvolta “fino a tal punto” da storielle e canzoncine raccontate/intonate da persone morte. Il segno pittorico di Benassi è però quello di un incantatore di serpenti, di uno spacciatore di suggestioni: incuriosisce, attrae (tuo malgrado), ti insegue, ti prende, che sei ancora lì a interrogarti sul come e perché è potuto succedere
“Lascia correr le molecole,/non pensare alle bazzecole./ Non ti devi scervellare,/ fermo, lasciati incantare”.
Un bel libro insolito, elegante, da regalarsi o regalare sicuri di colpire nel segno. Costa venti euro, ben spesi.
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