Il fiorentino Franco Fortini, pseudonimo di Franco Lattes (1917-94), è da molti considerato un autore scomodo, proprio per il ruolo di coscienza critica che instancabilmente volle esercitare nei confronti degli intellettuali suoi contemporanei (assumendo di volta in volta il ruolo di letterato, teorico, critico, saggista).
Nel nostro articolo di oggi analizzeremo Canto degli ultimi partigiani, una poesia scritta nel 1946 e strettamente legata all’esperienza della Resistenza vissuta dal poeta. Il canto perfetto da leggere nell’occasione della Festa della Liberazione: non è un caso, infatti, se la poesia fu letta da Umberto Eco alla Columbia University di New York al termine di un discorso fatto il 24 aprile 1995.
“Canto degli ultimi partigiani”: testo della poesia
Sulla spalletta del ponte
Le teste degli impiccati
Nell’acqua della fonte
La bava degli impiccati.Sul lastrico del mercato
Le unghie dei fucilati
Sull’erba secca del prato
I denti dei fucilati.Mordere l’aria mordere i sassi
La nostra carne non è più d’uomini
Mordere l’aria mordere i sassi
Il nostro cuore non è più d’uomini.Ma noi s’è letta negli occhi dei morti
E sulla terra faremo libertà
Ma l’hanno stretta i pugni dei morti
La giustizia che si farà.
“Canto degli ultimi partigiani”: parafrasi
Sul parapetto del ponte (si vedono) le teste dei partigiani impiccati, mentre nell’acqua della fonte (scorre) la loro bava. Sulla strada del mercato (ci sono) le unghie dei partigiani fucilati, mentre sull’erba secca del prato ci sono i loro denti. Non ci resta che mordere l’aria, che mordere i sassi: il nostro corpo non è più trattato come quello di essere uomini. Non ci resta che mordere l’aria, che mordere i sassi: il nostro cuore non è più trattato come quello di essere uomini. Ma noi abbiamo letto la giustizia negli occhi dei morti e creeremo la libertà sulla Terra. Ma la giustizia l’hanno stretta nei pugni delle loro mani la giustizia che si farà.
Chi è Franco Fortini
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Nato da padre ebreo e da madre cattolica, Franco Fortini (Firenze, 10 settembre 1917 – Milano, 28 novembre 1994) nel 1939 si era convertito alla fede valdese. Laureatosi in Legge (1939) e in Lettere (1940), mostrò sempre più apertamente la sua insofferenza per il regime fascista fino a che, l’8 settembre del 1943, giorno dell’armistizio, riparò in Svizzera (dove si trovavano molti altri esuli italiani antifascisti), per poi ritornare in Italia e partecipare attivamente alla Resistenza combattendo nella Val d’Ossola.
Nel dopoguerra si stabilì a Milano e, mentre diveniva redattore della rivista (diretta da Vittorini) «Il Politecnico» e del giornale socialista «Avanti!», pubblicava anche i suoi primi versi, raccolti nel volume di Foglio di via (1946), in cui Fortini si discosta dalle forme dell’Ermetismo per proiettarsi piuttosto verso il futuro. Ad esso seguirono nel corso del tempo, a dimostrazione di una grande fedeltà al genere, le raccolte Poesia ed errore (1959), Una volta per sempre (1963), Questo muro (1973), Paesaggio con serpente (1984), Versi scelti (1990).
Dopo essere stato consulente della società Olivetti e delle case editrici Einaudi e Mondadori, entrò nel mondo della scuola, insegnando dapprima lettere italiane e storia negli Istituti tecnici, poi, nel 1971, storia della critica letteraria presso l’Università di Siena.
A conferma della poliedricità del suo ingegno, vanno ancora ricordate non solo le numerose opere di narrativa e memorialistica – tra cui spiccano Sere in Valdossola (1963), I cani del Sinai (1967) e L’ospite ingrato (1967-85) – ma anche le numerose traduzioni degli autori più grandi dell’Ottocento e del Novecento, da Goethe a Proust, da Kafka a Brecht.
“Canto degli ultimi partigiani”: analisi e commento
Canto degli ultimi partigiani è un canto corale pubblicato nel 1946 in Foglio di via, la prima raccolta di versi di Franco Fortini. Non ci sono eroi né santini, ma teste (v. 2), bava (v. 4), unghie (v. 6), denti (v. 8), lacerti macabri di un espressionismo antiretorico che vuole restituire la dimensione tragica della ferocia nazifascista che annulla ogni essenza umana.
Dopo aver aderito inizialmente ai metodi ermetici, lo stile di Fortini subì un profondo cambiamento dovuto all’esperienza maturata nella lotta di liberazione al fianco dei partigiani. Il linguaggio diventa schietto, aspro, ma fortemente suggestivo.
Canto degli ultimi partigiani ha una struttura particolare a effetto martellato, come una canzone di guerra. Se guardiamo bene, infatti, vediamo che i primi due paragrafi, di quattro righe ciascuno, sono strutturati in modo tale che il primo e il terzo verso (in rima) rimandino a un luogo, mentre il secondo e il quarto verso terminano con la stessa parola. La scena viene così via via ricostruita con dettagli che, pur non volendo essere una vera descrizione degli eventi, incutono anche paura per la ruvidità dell’immaginario.
La scelta delle parole sottolinea l’aspetto di crudeltà che il fatto riveste. Così la parola lastrico (v. 5), che è ambivalente (il rivestimento della strada, ma anche la condizione di assoluta miseria, come nell’espressione ridursi sul lastrico), esprime con forza non solo l’essere stesi per terra, ma anche l’essere nella più totale abiezione; l’erba del prato è secca (v. 7), quasi a dimostrare l’aridità e l’insensibilità del cuore degli uomini che hanno compiuto il gesto.
La terza e la quarta strofa, che hanno ancor più evidente l’andamento della canzone partigiana attraverso la ripetizione quasi ossessiva di interi versi, vogliono esprimere la tragedia e l’incubo della scena, di cui gli uomini sono allo stesso tempo testimoni e vittime.
Non tutto è perduto, tuttavia: la poesia si conclude con un verso di speranza e la libertà è centrale nell’immagine restituita dell’ultima strofa.
“Canto degli ultimi partigiani”: metrica e retorica
Canto degli ultimi partigiani è composto da 16 versi di varia misura, organizzati in strofe da 4 versi ciascuna e rimati tra di loro secondo lo schema ABAB CDCD EFEF GHGH (rima alternata).
Un aspetto che si nota con immediatezza è l’assenza del predicato verbale all’interno delle prime due strofe, tutti strutturate in paratassi: in questo modo il poeta sta come scattando un’istantanea e sta suggerendo che non è l’azione quella che conta (e che è oramai passata) ma l’effetto che la furia mortifera nazifascista ha lasciato dietro di sé dopo il suo passaggio.
Funzionale a questo effetto è la scelta della figura retorica dell’anafora di singole parole (impiccati vv. 2, 4 – fucilati vv. 6, 8 – morti vv. 13, 15) o di interi versi e sintagmi (Mordere l’aria mordere i sassi - non è più d’uomini) che assicurano il ritmo martellante che abbiamo già introdotto.
Infine segnaliamo anche il campo semantico del verbo fare (faremo v. 14, farà v. 16): la concretezza della lotta partigiana si realizza nella costruzione di un mondo nuovo, libero ed eticamente retto e che proprio nell’Anniversario della Liberazione, il 25 aprile, va celebrato e ricordato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Canto degli ultimi partigiani”: testo e analisi della poesia di Franco Fortini da leggere per la Festa della Liberazione
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