Quello che più riteniamo di conoscere spesso si traduce in prevedibili spiegazioni ormai logorate da una forma ripetitiva, monotona e certamente indice di una trama lineare. Nondimeno quest’ultima funge da palcoscenico dei nostri pensieri, veri e propri vettori in grado di trasformare le sostanze che li caratterizzano in autentiche forme espressive. Ma siamo tuttavia disposti ad accogliere la moltitudine che abita dentro di noi? Perché se da un lato la nostra visione sembra impregnata di quei nessi causali, dall’altro quelle medesime linee guida rischiano di soffocare la nostra vera vocazione, quel talento ricco di contraddizioni e che per nulla al mondo dovremmo far corrispondere a una prevedibilità certa, sicura e per questo limitante nel nostro modo di esprimerci. Abituati ad un linguaggio mondano, automatico e privo di quei parametri in grado di connetterci con qualcosa di più intimo, quello analogico e imprevedibile costringe viceversa ciascuno di noi a rimettere in discussione quegli stessi criteri ai quali abbiamo imparato a rispondere in maniera automatica.
Jung e Grossman a confronto
Volendo porre su un piano cronologico autori del calibro di Carl Gustav Jung e di David Grossman, i nostri parametri razionali sembrano gradualmente incontrare un terreno fertile, dove far fiorire una comunicazione capace di riportarci alle origini di quanto non si è mai osato conoscere, utile a far incontrare a ciascuno di noi quel vuoto dal e/o attraverso il quale far emergere simbologie invisibili con le quali dialogare in maniera imprevedibile e proprio per questo autentica.
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Il mondo onirico infatti altro non rappresenterebbe se non la realizzazione di un qualcosa, come un desiderio, in una dimensione che reputiamo lontana dalle nostre possibilità e che mai e poi mai potrebbe combaciare con il nostro linguaggio privo di quelle sfumature che ne accentuino l’originalità.
Entrambi gli autori sopracitati invitano il lettore a ripristinare il significato di quell’unilateralità che rischia giorno dopo giorno di anestetizzare quella moltitudine di immagini che ci abita. Se la prima figura infatti introduce il concetto di razionalità in un mondo fatto di nuovi parametri spazio temporali (Jung, C., 2014, “Il libro rosso”, Bollati Boringhieri, Torino, 2014), quella di David Grossman vuole al contempo dar voce a quel vento impetuoso in grado di smussare le certezze dei nostri mari più profondi, grazie ai quali le profondità celano in segreto una compresenza degli opposti che solo l’energia femminile sa tradurre in parole che l’uomo riteneva perdute negli abissi del proprio pensiero.
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Riscoprire il proprio volto femminile per accogliere le onde che ci animano: una prescrizione che oggigiorno, se da un lato richiede quel coraggio in grado di collocarci dinanzi qualcosa di sconosciuto, dall’altro restituisce al mistero quello spazio degno di essere vissuto e dal quale lasciarsi guidare. Leggere le sue parole può e deve creare quella perdita di equilibrio utile a ripristinare una visione reale circa quella moltitudine che autori contemporanei come David Grossman sono in grado di instillare nel cuore di chi coraggiosamente sceglie di leggerli. Di entrare in contatto con quello che si era ritenuto
“essere un vecchio mare e che altro non era se non una donna. Un’anima di donna in un corpo d’acqua, quasi sempre addormentata per via dell’impossibilità di saziare le smisurate esigenze energetiche del suo corpo. Primitiva nei suoi impulsi e nei suoi desideri quali riflesso di più antiche ere geologiche”
(Grossman, D., 2022, “Vedi alla voce amore”, Oscar Mondadori, 2022, trad. di Gaio Sciloni).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Carl G. Jung e David Grossman: due autori e una visione in comune
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