Castelli medievali
- Autore: Aldo A. Settia
- Genere: Scienza
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2017
Castello, fortezza, fortilizio, maniero, quante parole per indicare la stessa cosa o quasi. Eppure quel termine che impariamo a conoscere da bambini, castello, è inaspettatamente fuorviante. Siamo un po’ tutti vittime del romanticismo ottocentesco e del cinema epico in costume, di Ivanhoe e delle favole, se un medievalista come Aldo A. Settia tiene ad avvisarci che lo stereotipo del castello merlato, fortificato, pieno di recessi e passaggi segreti è insufficiente a identificare il ruolo di quella costruzione nella storia. Lo fa nel saggio “Castelli medievali”, pubblicato a marzo 2017 nella collana Universale paperbacks delle edizioni il Mulino (pp. 176, euro 13,00).
L’autore, che ha insegnato Storia Medievale nell’Università di Pavia, suggerisce innanzitutto di prendere le distanze dalla visione del castello del principe di Cenerentola, con i tetti a cono, i camminamenti di ronda sopraelevati, le merlature, le bocche di lupo e caditoie, oltre all’immancabile ponte levatoio. Ce n’erano di pubblici e di privati, di uso militare e non, d’avvistamento e da caccia, da guerra e da tappa, appartenenti a ricchi signori o abitati da popolani.
Già nella sua storia di Roma, Tito Livio sembra indicare la possibilità di castelli non atti a compiti di difesa e in altri passi distingue tra vicus, il villaggio in pianura e castellum, villaggio collocato in posizione elevata.
Il termine deriva dal latino, del resto. È un diminutivo di castrum, che stava ad indicare il campo in cui sorgono costruzioni, accampamenti. Col tempo, castrum e castellum sono diventati pressoché sinonimi. L’uso lessicale opponeva civitas a vicus, castrum e castellum, vocaboli fra loro intercambiabili secondo una tradizione che perdura nell’alto medioevo, con l’eccezione del plurale castra, che indica sempre un accampamento legionario di una certa grandezza.
Se quindi nel latino classico poteva indicare un semplice villaggio in altura, non necessariamente fortificato, dal X secolo in avanti il vocabolo prende ad avere definitivamente un significato fortificatorio. Nell’epoca dell’incastellamento, si tende a considerare ogni castellum senz’altro dotato di funzione difensiva.
Partendo dall’epoca romana e soffermandosi in particolare su quella medievale, il prof. Settia segue l’evoluzione castellare sotto tutti i diversi aspetti.
Interessanti i contenuti legati all’esibizione non tanto e non solo di forza, quanto di ricchezza e potere della famiglia proprietaria. Non per niente tuttora molti castelli vengono riconosciuti con il nome della casata alla quale si è dovuta la costruzione.
Si pensi alle torri private urbane. Il loro addensamento in alcuni siti dell’area cittadina contrastava con ogni ragione difensiva, offensiva o militare. In certe zone di Bologna la distanza tra torre e torre si riduceva a un metro e mezzo, a Firenze e Pisa alcune sorgevano tanto vicine da essere separate solo da una linea. Ve n’erano di tanto strette da non permettere nemmeno un uso abitativo. La stessa forma indica un significato simbolico: ostentazione di superiorità, nei luoghi urbani più frequentati.
Dalla seconda metà del 1100, torri e case fortificate private cominciano a comparire anche nel territorio viciniore, tanto che l’elevazione in centri minori divenne oggetto addirittura di divieti, sistematicamente violati. Nel 1126 il vescovo di Lodi proibiva la costruzione di edifici troppo alti a Castiglione d’Adda. Federico II interdiva nel 1221 la costruzione nel territorio veronese di edifici de materia quacumque più alti di tre ponti e mezzo (4 metri e 40 centimetri), muniti di fossati e di valli.
I vocaboli con cui vengono indicati sono generici, come munitio, forticia, forcia, edificium. Più specifici sembrano turris e l’infrequente casaturris. In veneto apparivano espressioni come domus pro defensione, domus per batallam, domus alta, domus de forcia, a segnare un carattere tanto abitativo che difensivo dell’edificio. In Romagna la denominazione è tumba, in Piemonte motta, ma erano frequenti sinonimi diversi.
Altrettanto mutevole la struttura. Non mancava il legno, ma si ricorreva per lo più alla muratura, mentre il carattere fortificatorio era sottolineato dalla costante presenza di un fossato.
È stata la tecnologia militare a decretare la fine dei castelli medievali e questo ha avuto ricadute addirittura sulla creazione degli stati unitari. La parte alta delle mura non era più in grado di reggere il peso delle bocche da fuoco da difesa e l’offesa di quelle avversarie. Le torri troppo alte vennero tagliate e colmate di terra. Nei punti più vulnerabili vennero aggiunte “ridotte” più basse e larghe. Gli architetti italiani misero a punto un modello di fortificazione rivoluzionario, i bastioni, che segnò il tramonto dei castelli. Molti sopravvissero ma non erano utilizzabili.
A suo tempo, l’incastellamento aveva decretato la superiorità delle tecniche difensive su quelle d’attacco e favorito la disgregazione politica medievale. Il capovolgimento di questo rapporto favorì l’unione politica negli stati nazionali e regionali, estinguendo la civiltà medievale che aveva avuto nel castello una delle più caratteristiche manifestazioni.
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