Cavaliere di grazia di Franco Mimmi

"Cavaliere di grazia" di Franco Mimmi (Lampi di stampa, 2011) è un romanzo sull’eterna “frontiera”: quella che divide gli uomini e le loro idee. Meglio ancora: è un romanzo “contro” quella frontiera. La scelta della scena – Rodi, anno 1522 – è certamente funzionale al romanzo, perché è la scena di quello che oggi si chiamerebbe uno “scontro di civiltà”: i cristianissimi cavalieri di San Giovanni contro i musulmani di Solimano il Magnifico.

Il libro sviluppa una tesi che lascia intendere chiaramente come tante altre, nella storia e nella geografia, avrebbero potuto essere le circostanze esemplari di questa eterna, perniciosa frontiera. Il protagonista, Andrea di Monforte, espulso vent’anni prima dall’Ordine per la sua relazione con una ragazza (ebrea, per di più), torna a Rodi quando l’isola è in pieno assedio. Ha trascorso quegli anni come ambasciatore itinerante di varie corti europee, ha conosciuto papi e re e lo stesso Solimano ma anche uomini come Copernico e Michelangelo, ha letto molto, ha scoperto le virtù e i dolori del dubbio e la sua visione si è allargata oltre i confini angusti del credo dei cavalieri. Infatti, quando Villiers de l’Isle Adam, il gran maestro dell’Ordine, gli ricorda che molti sono gli ebrei nelle file turche, gli risponde:

“E perché non dovrebbero? Quando noi li cacciammo dalla Spagna, dal Portogallo e poi anche da Rodi, il sultano Bayazid II aprì loro le porte del suo impero… un miscredente ha dato una lezione agli orgogliosi sovrani cattolici… una lezione di tolleranza, l’insegnamento per eccellenza di Gesù Cristo”.

Così questo romanzo storico, pregevole per la minuziosità della ricerca e la brillantezza della prosa, si trasforma in un romanzo filosofico sulla tolleranza, sulla convivenza, sui patrimoni comuni che supererebbero di molto, se sapessimo apprezzarli, le cose che ci dividono.