Cesare
- Autore: Rosetta Loy
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2018
Un successo per caso. Rosetta Loy lo diceva sempre di sé, anche come forma di timidezza e perché lei non era della generazione delle prime scrittrici del dopoguerra a caccia di consenso, che diventarono anche un “fenomeno di costume” come la sempre citata Elsa Morante o Lalla Romano più tardi, ma divenne famosa quando le scrittrici avevano ormai un vasto pubblico di lettori.
Il suo successo arrivò, infatti, nel 1987 con Le strade di polvere (Einaudi), romanzo vincitore dei Premi Campiello e Viareggio. Loy diceva che era “Un successo per caso”, facendo così infuriare il compagno Cesare Garboli, ormai stanco di stare sempre tra scrittori che gli chiedevano un suo parere su un determinato libro.
Il ritratto di Cesare Garboli emerge a tutto tondo in questa biografia sentimentale di Rosetta Loy, intitolata Cesare, edita da Einaudi nel 2018.
Negli anni Ottanta, Garboli non stava bene di salute, a volte si arrabbiava di brutto se i dottori, oltre a segnalare i consueti acciacchi fisici, buttavano lì la parola “depressione”.
E se proprio bisogna trovare un termine per descrivere il Cesare Garboli di fine anni Ottanta è “delusione”, “tristezza”. Niente, in confronto agli anni in cui l’intellettuale aveva abbandonato Roma, dopo l’uccisione di Aldo Moro.
Quella tragica morte fu per moltissimi uno shock, ma per il critico letterario fu proprio un sentimento di “schifo”. Non era possibile vivere a Roma, gli faceva orrore tutto della capitale d’Italia, soprattutto la certezza che Moro fosse stato ucciso non solo dalle Brigate rosse, ma da tutti coloro che non digerivano il successo elettorale dei comunisti italiani nel 1976, due anni prima del rapimento dello statista italiano. E, poi, forse esagerando di fronte a una cosa mostruosa come l’assassinio di Moro, anche esteticamente Roma gli faceva ormai orrore, le strade buie della città, i sampietrini, persone che facevano intrallazzi con alcuni politici, accordi segreti, spie della CIA statunitense in missione.
Uomo furioso, passionale, di un’intelligenza che faceva male, Garboli era a caccia di scritti dove non ci fosse già "il tutto esaurito". Un uomo che soffriva enormemente per una virgola sbagliata, un refuso. Ne faceva anche una questione professionale, anche se lui non si sentiva certo un accademico.
Per queste sue rabbie improvvise, Garboli stesso curò il diario di Matilde Manzoni, figlia di Alessandro Manzoni e della prima moglie, Enrichetta Blondel. Studiò approfonditamente le parole di questa figlia che viveva lontana dal padre, in casa degli zii, perché malata di tisi. La ragazza scriveva lettere accorate e molto belle a Manzoni, cercando di minimizzare la tisi, malattia che se la portò via a soli venticinque anni. Dopo la morte di Enrichetta, che nella sua breve vita ebbe undici figli e lo stesso numero di aborti spontanei, Manzoni spedì in Versilia due figlie sue e di Enrichetta, Vittoria e Matilde, che vissero con gli zii tra la Versilia, Lucca e Firenze.
Cesare Garboli si interroga sulle lettere della ragazza, che chiedeva al padre non vestiti, ma soldi per le medicine e per vivere con modesto agio, almeno per non avere preoccupazioni di tipo economico. Ma anche se il padre la aiutava, non la trattò mai veramente come figlia. Eppure dalle sue lettere e dal suo diario privato, lo studioso delle “parole scritte non sue” trovò il genio di un talento letterario che rimase incompleto per la morte della ragazza. E Garboli si arrabbiò moltissimo con la sua amica, Natalia Ginzburg, che stava scrivendo il suo libro più importante sulla famiglia Manzoni ed era arrivata alle bozze definitive per Einaudi. Garboli non accettò la decisione della Ginzburg di mettere insieme, nello stesso capitolo, la vita di Vittoria e quella di Matilde. Solo quando l’amico "furioso" le spiegò che Matilde non fu solo un "fantasma", una ragazza giovane sempre adagiata su un letto a causa delle sue traversie di salute, la Ginzburg, dopo molte discussioni a voce alta, decise di non mettere nello stesso capitolo le due ragazze. A quanto pare la Ginzburg trovò materiale interessante anche per scrivere di Matilde, la cui fonte era proprio il critico letterario.
Racconta lo stesso Garboli:
E riuscii a impormi a Natalia, dopo un alterco furente che mi vide vittorioso, di dividere il capitolo in due, di ritoccare la parte dedicata a Vittoria e di riscriverne l’incipit, dando a Matilde uno spazio, un punto di vista diverso, una stanza, finalmente, per dirla con una voce famosa, “tutta per sé”.
A parte il diverbio e la vittoria, c’era, ai tempi, una voglia di confrontarsi che ora uno se la sogna. Non è che non ci siano amici letterati che possano litigare tra loro, ora sembra mancare il tempo per dire le proprie ragioni e molto spesso la voce più autorevole silenzia la parte avversa.
In queste pagine Rosetta Loy della relazione con Cesare dice pochissimo, fa invece parlare Garboli delle sue ossessioni letterarie: Antonio Delfini, la controversa passione e odio per Pascoli, Molière. E poi Cesare Garboli sapeva scusarsi. Nel caso della Morante decise di non tener in nessun conto le poesie della scrittrice che uscirono per Longanesi col titolo Alibi. Erano importanti e belle, anche se tuttora abbastanza sconosciute.
Cesare Garboli morì a settantacinque anni. Non molti. Anche sulla sua morte Rosetta Loy non dice molto. Sembra quasi che con questo libro la scrittrice, più che ricordare il rapporto sentimentale con l’autore e critico letterario, voglia far conoscere meglio alle persone più giovani chi era Garboli; ma è difficilissimo, perché forse negli ultimi anni la critica letteraria si è spostata su Internet e per molti questa è una sconfitta.
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