Nel 2000 il quotidiano Times ha riconosciuto Ludwig Wittgenstein come il filosofo più influente del Novecento. Vi dice qualcosa questo nome duro, austriaco, denso di allitterazioni? Forse è più noto il titolo latino del suo unico libro, Tractatus Logico-philosophicus (1921), che sembra celare un manuale di stregoneria, un volume di incantesimi. E forse un po’ lo è.
Wittgenstein, infatti, prima di essere il più “eminente filosofo del Novecento” era uno studioso di matematica pura. Il suo Tractatus è scritto con l’esattezza logica delle formule matematiche: un linguaggio non linguaggio, un linguaggio che sfida i limiti del linguaggio stesso. Il tutto si può riassumere in sette proposizioni attraverso le quali Wittgenstein formula la critica filosofica del linguaggio: secondo l’autore il compito della filosofia era quello di esplorare la relazione tra linguaggio e realtà, in quanto in questa indagine era contenuto il limite stesso del pensiero. Ludwig Wittgenstein applicò alla filosofia la logica empirica della scienza: quindi, secondo il suo ragionamento, molte delle domande formulate dai filosofi apparivano insensate perché trascendevano il limite del linguaggio.
Il pensiero di Wittgenstein può essere efficacemente riassunto nella celebre formula che chiude il suo Tractatus e appare come un invito al silenzio:
Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.
La riflessione dunque dovrebbe contemplare solo il campo del cosiddetto “dicibile”? Esplorando le capacità del linguaggio, Wittgenstein di fatto indagava la natura della realtà.
Scopriamo la sua vita e il suo pensiero alla base della teoria del linguaggio.
Ludwig Wittgenstein: la vita
Link affiliato
La vita di Ludwig Wittgenstein non è meno intrigante della sua filosofia. Apparentemente aveva un destino segnato dalla fortuna, la sua strada era già tracciata sin dalla nascita; eppure lui decise di fare a modo suo seguendo la propria ostinata idea di perfezione, forse proprio questo ideale può essere visto come l’unico fil rouge di un’esistenza sregolata.
Nacque a Vienna il 26 aprile del 1889, proprio sulla fin du siècle, in un’agiata famiglia benestante. Era l’ultimo di otto fratelli e il Novecento era alle porte, si affacciava il tempo del cosiddetto “Secolo breve”, con tutto il suo carico di smarrimento e di rottura, le sue grandi guerre, le sue devastazioni, i grandi dubbi dell’umanità erano appena iniziati.
Quando Ludwig era bambino la sua casa era frequentata da artisti e musicisti stimati quali Shumann, Mahler e Brahms. Il padre Karl era un industriale amante dell’arte, che tuttavia indirizzò il figlio agli studi scientifici perché potesse, un giorno, gestire l’azienda di famiglia. Per compiacerlo, Wittgenstein studiò ingegneria aereonautica al Politecnico di Berlino; ma ben presto abbandonò quel campo per dedicarsi a ciò che lo affascinava maggiormente, ovvero la matematica pura. Non dobbiamo tuttavia immaginarlo digiuno di pensiero umanistico, sin da giovanissimo Ludwig leggeva i filosofi, in particolare Schopenhauer, nei quali cercava risposte alle domande stringenti che il suo “mondo interiore” sembrava porre a un “mondo esteriore” sempre più sfuggente e difficile. La filosofia fu la sua prima alternativa alla religione, di cui imparò ben presto a diffidare, divenne il suo modello di risolutezza etica.
Studiò a Cambridge, dove fu allievo di Bertrand Russell, uno degli intellettuali più poliedrici del Novecento, che subito riconobbe che in quel giovane c’era del genio. Russell tuttavia non aveva fatto i conti con l’inquietudine del suo allievo. Wittgenstein era un animo malinconico che, spesso, cadeva preda di profonde crisi, come del resto accadeva anche ai suoi fratelli (tre dei quali, Hans, Paul e Rudolf, si suicidarono): questa malinconia sembrava essere ereditaria, o forse la diretta conseguenza di una troppo stringente autorità paterna.
Nel 1913 il giovane Ludwig decise di mettere di nuovo a soqquadro la sua vita, lasciando l’Inghilterra e partendo per la Norvegia, in seguito si arruolò al fronte come volontario nella Prima guerra mondiale. L’esperienza della guerra lo avrebbe cambiato per sempre. Nel 1921 redasse il suo celebre Tractatus Logico-philosophicus che avrebbe sancito la sua fortuna con la riflessione sul linguaggio alla base della sua filosofia.
Dopo quella pubblicazione la vita di Wittgenstein fu nomade e sregolata: svolse i mestieri più diversi, come se fosse incapace di trovare la propria giusta inclinazione. Aveva rinunciato a dirigere l’azienda familiare, tradendo così la solida volontà paterna, e aveva abbandonato persino la carriera accademica che l’aveva deluso. Fu giardiniere in un monastero, insegnante in una scuola elementare sperduta nelle Alpi austriache. Saranno gli amici a ricondurlo sulla strada della filosofia, in particolare il logico inglese Frank P. Ramsey e il filosofo matematico Luitzen Brouwer che lo riportarono al suo ambito principale di interesse. Ottenne il dottorato in filosofia discutendo il suo famoso Tractatus di fronte a una commissione formata, tra gli altri, dal suo maestro Bertrand Russell.
Nel 1936 Ludwig Wittgenstein decise di accettare la cattedra di filosofia a Cambridge che avrebbe mantenuto fino al 1947, prima di scombinare di nuovo i piani. In questa seconda fase della sua vita si occupò in particolare dei giochi linguistici, cercando di individuare i tratti comuni, le caratteristiche e l’essenza del linguaggio: in sostanza decostruiva la struttura linguistica ma non in termini logici, stavolta tenendo conto dell’uso che il parlante ne faceva all’interno di una determinata cornice di senso. Il linguaggio era correlato a una determinata comunità di parlanti, questa fu la sua seconda intuizione da studioso: concepire la lingua come un’identità plurima e in evoluzione, non solo strettamente legata alla logica. Il linguaggio era continuamente trasformato, vivificato, dall’uso quotidiano.
Come tutte le esperienze di vita di Wittgenstein, anche il periodo di Cambridge ebbe breve durata. Diede le dimissioni e si trasferì in Islanda in una sorta di ritiro intellettuale per dedicarsi unicamente agli studi.
Quest’ultima fase della sua esistenza tuttavia ebbe breve durata, tornò in Inghilterra per curare un tumore. Sapendo di non avere possibilità di guarire, Wittgenstein decise di tornare per un periodo in Norvegia replicando l’esperienza fatta in gioventù; fece poi ritorno a Cambrigde dove la morte lo colse all’improvviso mentre alloggiava a casa di un amico. Era il 29 aprile del 1951.
Sulla biografia di Wittgenstein aleggia la personalità di un uomo tormentato, giudicato complesso e ingestibile da quanti lo circondavano. Ma fu proprio questo ad alimentare anche il fascino della sua figura: l’interesse morboso per la sua vita, negli anni, superò quello per la sua filosofia.
Il pensiero di Wittgenstein passò in secondo piano rispetto alla figura dell’uomo Wittgenstein sulla quale sembra regnare un perenne mistero: era imprendibile, inafferabile, ma del resto lui stesso ci aveva insegnato che in verità non c’è nessun enigma, ma solo presupposti insensati.
La teoria del linguaggio di Ludwig Wittgenstein
La prima fase del pensiero di Wittgenstein è correlata all’indagine sulla natura del linguaggio. La struttura del linguaggio, secondo il pensiero del filosofo, rispecchia la struttura stessa della realtà: perché le parole ci possono dire il mondo, come il mondo è. Le proporzioni elementari trovano corrispondenza nei dati sensibili; ciò che non trova corrispondenza semplicemente non è, oppure è da ritenersi senza senso (sinnlos) o unsinning. Se la funzione del linguaggio è quella di rappresentare il mondo, osserva l’autore, allora la filosofia deve analizzare il linguaggio per comprendere come è fatto il mondo dacché il problema principale della vita è quello del suo senso, come teorizza una delle proposizioni del suo Tractatus:
La risoluzione al problema della vita si scorge allo sparire di esso.
Sembra un’affermazione criptica: la risposta al senso della vita consiste nel far sparire il senso? In realtà quello che Wittgenstein ci sta dicendo è che noi esseri umani non possiamo fidarci del nostro pensiero, per questo il filosofo riponeva tanta fiducia nel linguaggio inteso come struttura, perché il pensiero è costantemente fuorviato dall’illusione. Da questa convinzione Ludwig Wittgenstein sviluppò la tendenza a smascherare le ambiguità concettuali inserite nei ragionamenti astratti. Applicava alla filosofia la logica, basandosi tuttavia sul principio alla base di ogni pensiero, ovvero il linguaggio: poiché noi pensiamo attraverso le parole.
Da ciò il filosofo dedusse che:
Noi lottiamo contro il linguaggio. Siamo in lotta contro il linguaggio.
Riducendo il problema filosofico (persino il senso stesso della vita) a espressione linguistica, Wittgenstein capì che era in grado di trovarvi la soluzione, riportando il ragionamento astratto su un piano concreto, empirico, fenomenico.
Il suo obiettivo era chiarificare l’uso del linguaggio umano per rendere più efficace e meno insidioso il pensiero. Se il problema non è risolvibile, osserva l’autore, è perché noi lo formuliamo in modo che non sia risolvibile. La filosofia, secondo Ludwig Wittgenstein, in sostanza aveva molto a che vedere con il modo in cui noi vediamo le cose e affidava alla filosofia un compito terapeutico.
Forse credeva che, guarendo il pensiero dall’illusione astratta del linguaggio, riportandolo al dato concreto, poteva ovviare a quella malinconia oscura che lo attanagliò per tutta la vita. In realtà tutta l’esistenza di Wittgenstein fu contraddistinta da una forte carica spirituale, sfuggì ai principi rigidi della logica avvicinandosi invece a una condizione quasi mistica: cercò l’eremitaggio, l’isolamento, poi l’eroismo (e forse anche la morte) sul fronte di guerra.
Non era interessato alla logica pura, ma al funzionamento del pensiero, per questo decostruì il linguaggio, lo scompose, nel tentativo di pervenire a quel nocciolo, nascosto, di verità.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Ludwig Wittgenstein, il filosofo del linguaggio
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Filosofia e Sociologia Storia della letteratura
Lascia il tuo commento