Ciò che inferno non è
- Autore: Alessandro D’Avenia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2014
Palermo 1993. Il romanzo di Padre Puglisi scalda il cuore.
Don Pino ha le scarpe grandi, sfondate, sollevano polvere ad ogni passo. Don Puglisi ha una Uno rossa. Sopra, c’è seduto un bambino. Oggi non vuole andare a scuola, anche se è l’ultimo giorno. Ha sei anni, si chiama Francesco. Sai da dove viene? Dai Franchi, quelli di Carlo Magno. Si chiamavano così perchè erano liberi. Francesco è un uomo libero. E che vuol dire, libero, padre Pino, a Palermo, nel giugno 1993?
Più tardi, quel bambino è con altri ragazzi e con un cane, che più meticcio non si può, ma non è una ragione per morire massacrato a calci nelle costole, nella pancia, sulla testa. Francesco guarda. Si rende conto di non sapere come si fa ad aggiustare un cane. Le auto che non si accendono si rimettono in moto, ma un animale? E allora, ignorando come ripararlo, si mette a colpirlo anche lui.
Se l’inferno è togliere l’amore da dentro le cose, Brancaccio è l’inferno. Là la strada è la vera scuola. Nell’altra ci si va fino alla quinta elementare, poi si resta fuori, ad aspettare qualcosa da fare che non andrebbe mai fatto.
Ma non è un romanzo disperato questo di Alessandro D’Avenia, palermitano, volto normanno. “Ciò che inferno non è” (pubblicato da Mondadori, 320 pagine 19 euro) non cancella la speranza, non esclude un futuro migliore. Finchè vivranno persone vere come don Pino o anche solo il ricordo del loro coraggio esemplare, al Sud non saranno costretti a celebrare solo la morte e il funerale dei valori e dei diritti umani.
È vero, ci sono anche quelli come il Cacciatore, 30 anni, tre figli, un lupo vestito da uomo, il sicario di mafia per il quale uccidere vuol dire solo mettere un pezzo di ferro in un pezzo di carne. Ma c’è anche Federico, 17 anni, liceale. Lui con quel quartiere non c’entra, vive in centro, però Don Pino, il suo insegnante di religione, ha il dono della parola, sa toccare il punto giusto.
Padre Pino Puglisi, 3P, anzi quattro con parrino (parroco), ha popolato la chiesa di San Gaetano di bambini, di giovani, di gente ben vestita che viene da lontano, anche di sbirri. All’onorata società non sta bene, gli estranei danno fastidio e quell’oratorio aperto vicino alla parrocchia attira i ragazzi, li distoglie dalle regole di sangue e di fuoco. Quel centro non piace. L’ha chiamato Padre Nostro. Vieni a darmi una mano con i bambini prima di partire per le vacanze in Inghilterra, ha detto al suo alunno. E Federico va,
mette alle spalle Palermo, che brilla nei quartieri luminosi di ricchi e arricchiti mentre qualche metro più in là cresce l’inferno destinato a uomini la cui miseria è necessaria alla mafia per dimostrare che lo Stato è un principio passato.
Quasi diecimila anime in quel feroce niente che è il quartiere Brancaccio. Ma nel centro i piccoli del rione possono giocare, studiare, stare insieme. Come li conquista? Soprattutto vi serve un arbitro. Con un fischietto don Pino ha vinto più battaglie dell’imperatore svevo di Sicilia, scrive Alessandro.
Il romando di padre Puglisi scalda il cuore.
Il ragazzo bene, Federico, vive in una città difficile e quasi vorrebbe restare indifferente come gli altri, ma sa ancora sognare e le parole gli vengono facili. È sensibile, ama scrivere.
Alessandro D’Avenia è nato nel 1977. Nel 1993 aveva diciassette anni e frequentava il liceo classico Vittorio Emanuele, dove il prof. Giuseppe Puglisi insegnava religione. Due anni fa, per l’impegno mostrato a favore dei giovani, lo scrittore palermitano ha ricevuto il Premio internazionale dedicato al suo docente, maestro e amico sacerdote.
Palermo 1993. Don Pino è avvisato, don Pino è picchiato. Don Pino è ammazzato. Un calvario. Il 15 settembre, il giorno in cui compie 56 anni, quattro demoni lo aspettano al buio. Il Cacciatore ha in pugno una pistola. Ne basta una piccola per un prete, deve sembrare una rapina. Padre Pino sorride. Padre Pino cade.
Il 25 maggio 2013, centomila fedeli a Palermo assistono alla sua beatificazione. È la prima vittima di mafia della Chiesa. Il suo apostolato era intollerabile, insegnava come vincere Cosa Nostra.
E Francesco, nemmeno sette anni, dice alla mamma che il cane non l’avrebbe ucciso. Singhiozza che lui non vuole rompere tutto, vuole aggiustare le cose. E Maria, giovane prostituta, l’abbraccia. Ecco la speranza.
Ci sono posti dove l’inferno non può arrivare, neanche all’inferno.
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