Il grande caseggiato dell’istituto è situato accanto al nuraghe Is Paras, quel nuraghe che mi era apparso imponente con la sua tolos perfetta nella camera principale quando appena arrivata a Isili volli visitarlo piena di stupore e di meraviglia.
Nello spazio antistante incontro Anna, una mia ex giovane collega con la sua borsa dei compiti che si avvia in classe.
Ci salutiamo con affetto e poi inevitabilmente parliamo di scuola.
Il suo è uno sfogo senza fine
“la scuola ha perso la sua dignità, gli alunni non rispettano i professori e non studiano più. Gli adempimenti burocratici, le riunioni, le raccomandazioni sempre più assillanti del capo d’istituto rendono la vita degli insegnanti difficile e senza possibilità di vedere all’orizzonte una qualche soluzione. La scuola deflagra, la società non ne riconosce più l’importanza fondamentale nella formazione dei giovani...”
Ascolto in silenzio l’allarme che si percepisce per una scuola disastrata con alle spalle famiglie che si pongono di fronte alla classe docente con arroganza, senza riconoscere il ruolo importante che essa svolge nell’educazione dei loro figli piuttosto che condividerne l’azione.
Mi invita a incontrare i suoi alunni per testimoniare quanto dice. Accetto con una qualche emozione: sono trascorsi tanti anni non so cosa mi aspetta.
Sto per entrare in classe, giovani alunni attendono la giornalista che vuole parlare con loro, così come sono stata presentata dalla mia giovane collega.
L’aula è luminosa, sufficientemente grande, affollata da un numero consistente di alunni sistemati su banchi moderni dai contorni sbiechi che immagino siano adattabili a sistemazioni in cerchio che consentirebbero la creazione di piccoli gruppi per uno studio più personalizzato.
Sulla destra accanto alla cattedra due ragazzi che a quanto mi dicono sono portatori di un qualche deficit e per questo richiedono la presenza di insegnanti di sostegno che in quel momento operano accanto a loro.
Mi presento. Dico che sono venuta a parlare con loro, voglio verificare se l’opinione corrente che descrive gli studenti come indifferenti allo studio e non rispettosi dei loro professori corrisponde al vero. Chiedo se considerano la scuola importante per la formazione del loro carattere e fondamentale nella loro vita.
Si è creata un’atmosfera di attenzione, chi borbottava infastidito si zittisce, tutti vogliono ascoltare.
Ma ecco che la conversazione viene interrotta dalla ricreazione, implacabile fustigatrice di lezioni in corso. Non rimane che mettersi d’accordo per la stesura di un tema dove esprimere opinioni e fare considerazioni sullo stato della scuola.
Mentre vado in macchina col mio pacchetto di compiti che ho proposto ad Anna di analizzare rifletto su di me.
Negli anni ’90 essere diventata una prof. di un istituto superiore mi rendeva orgogliosa, sarei venuta in contatto con giovani adulti che avrebbero messo alla prova le mie capacità di insegnante, la mia voglia di confrontarmi con chi da me si aspettava comprensione, ma anche tanta voglia di imparare ad amare lo studio.
La mia esperienza sui banchi di scuola mi aveva insegnato che non sempre e non con tutti i professori il mio amore verso lo studio si era manifestato nel migliore dei modi. Accanto a docenti le cui lezioni mi appassionavano e mi facevano interessare anche ad argomenti pesanti, sperimentavo il fallimento verso quelle materie che nessuno mi insegnava ad amare e verso le quali mi dicevano non essere ‘portata’.
Avere insegnato, essermi posta dall’altro lato della cattedra, è stata un’esperienza che ha fatto di me una persona forte, ho imparato a confrontarmi con il prossimo con maggiore consapevolezza, i miei alunni mi hanno insegnato l’importanza del rispetto verso l’altro e la consapevolezza dei meriti, dei diritti, del decoro altrui.
Sono convinta che la scuola nonostante le sue contraddizioni, i suoi eterni tentativi di riforma per migliorarla rimanga quel luogo dove un giovane mette alla prova se stesso per affrontare con fiducia la vita, se avrà imparato a fare tesoro di tutti quei sacrifici che spesso lo studio comporta.
Oggi sono tornata in quell’edificio che tanti anni fa mi accolse come docente: le macchine parcheggiate, gli alunni nei corridoi in attesa delle lezioni, il colloquio con chi lamenta l’incomprensione di docenti che non riconoscono i bisogni di chi chiede rispetto mi hanno fatto rivivere momenti che non ho dimenticato.
La scuola di cui mi parlano i nuovi colleghi esasperati dagli adempimenti burocratici e da alunni insofferenti mi scaraventa in una realtà sempre uguale dove alunni e professori si confrontano quotidianamente in una relazione dinamica che non può che risolversi in una crescita reciproca che, forse, solo chi come me non ne fa più parte riconosce.
Aver reso obbligatoria la scuola fino al sedicesimo anno d’età ha riproposto per le medie superiori quel fenomeno che si era verificato negli anni settanta quando con la scuola dell’obbligo e l’unificazione della scuola media con l’avviamento si riversò sui banchi di scuola quella popolazione che prima si divideva tra chi avrebbe intrapreso gli studi superiori e chi si avviava al mondo del lavoro.
I risultati furono che la lezione frontale con relative interrogazioni andò in crisi. A seguire le lezioni erano sempre i più motivati, mentre chi viveva la scuola con fatica e non si adattava ai metodi gentiliani venne scartato e l’abbandono scolastico si manifestò in tutta la sua drammaticità. Col tempo e con le riforme che si andavano attuando si prese consapevolezza che metodi e strumenti di valutazione dovessero cambiare e adattarsi ai nuovi allievi.
Molti insegnanti si impegnarono in corsi di aggiornamento per acquisire strumenti nuovi che superassero gli stilemi della scuola gentiliana e affrontarono la realtà scolastica andando incontro ai nuovi bisogni dei nuovi discenti.
Oggi il problema della selezione legata alla meritocrazia si è spostata nel biennio delle superiori, dove persiste una modalità di insegnamento più tradizionale ed ecco che il fenomeno dell’abbandono scolastico si è ripresentato in tutta la sua drammaticità.
L’opinione pubblica percepisce il fenomeno come fallimento di una scuola che ha perso autorevolezza e la vede in conflitto con la famiglia che, contrariamente a quanto accadeva nelle vecchie generazioni, non ne riconosce il ruolo educativo.
È così che i giovani si pongono nei confronti della scuola spesso in modo negativo accettandola e frequentandola, quando non l’abbandonano, solo per garantirsi “un pezzo di carta” da spendere nel mondo del lavoro. Difficile è trovare giovani che ne riconoscano l’importanza per la loro formazione caratteriale e culturale indipendentemente dal loro utilizzo strumentale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Com’è cambiata la scuola oggi? I pensieri di un’ex insegnante
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