Comunisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sul PCI
- Autore: Francesco Cundari
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2009
Quello che resta del Partito Comunista Italiano – l’Elefante Rosso di pansiana memoria, il più grande Partito Comunista d’Europa – sono i vessilli con la falce e martello lasciati a impolverare nelle soffitte della mezza Italia che ci ha creduto. Per dirla come Gaber
“qualcuno era comunista perché Enrico Berlinguer era una brava persona”
oppure
“era così ateo che aveva bisogno di un altro dio”
oppure, ancora, aveva smesso di sognare California e sognava la rivoluzione.
Ciascuno aveva molto più di una buona ragione per dirsi comunista, prima della caduta, prima dell’abiura di Occhetto, ricordate? Fine – nel marcio – della Prima Repubblica, fine dell’Unione Sovietica, cambio di nome, cambio di simbolo, cambio dell’idea stessa di comunismo. Nel millennio con le cifre da fantascienza (dal biennio 2008-2009, per l’esattezza) i comunisti italiani sono fuori dal Parlamento italiano e anche da quello europeo, ultimo capoverso della storia: per qualcuno un sollievo, la morte di un babau (il fantasma marxiano che si aggirava per l’Europa), per altri la scomparsa di punti di riferimento ideali, uno straniamento senza soluzione di continuità: tutto si può dire del comunismo tranne che non abbia saputo fungere da collante sociale per una parte d’Italia, e anche di mondo.
Osservo l’aria vintage del manifesto elettorale riprodotto sulla copertina di “Comunisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sul PCI” (Vallecchi Editore) e penso a quanta storia, quanta acqua, quanti sogni sono scappati via (ma dove?) da allora. Vota comunista, c’è scritto in giallo, di spalla alla foto che ritrae un drappello di donne - gonne e golfini anni Cinquanta - fissate di spalle ma in marcia, probabilmente verso il sol dell’avvenire. Per l’emancipazione. Per l’avvenire, c’è scritto ancora in giallo, come cappello della copertina. In riquadro tondo (il riquadro elettorale) l’immancabile bandiera rossa con la falce e martello, la stella, e la scritta P.C.I., roba da groppo in gola per chi ci ha sperato, prima ancora che creduto, e chi scrive – per il poco che conta – fra questi.
Il cospicuo volume (affatto nostalgico) che Francesco Cundari dedica alla mitologia comunista si pone come compendio di storia e filosofia (prassi e teoria) del Partito per antonomasia. Trecentosessanta pagine con dentro condensati il senso, il significato, i tic, le idee, le lotte, le beghe, i mostri sacri e i comprimari, l’immaginario del PCI, sullo sfondo dell’Italia degli ultimi sessant’anni, l’Italia dell’eterna Democrazia Cristiana e della finta Democrazia. Ricostruita in taglio e passo plurimi - tragico, documentaristico e persino comico quando serve - la parabola politica di dirigenti, quadri di partito, militanti comunisti, rappresi in un dialogo, uno snodo, una frase-simbolo, un momento topico della storia, come nel caso del drammatico confronto fra Togliatti e Lajolo sulle responsabilità dei crimini dello stalinismo.
Dalla A di “Avanti popolo” alla Z di “Zelig” (non a caso), un dizionario di voci comuniste che si legge come un’originalissima storia del Partito Rosso. Ottimo davvero.
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