Con l’Italia mai! La storia mai raccontata dei Mille del Papa
- Autore: Alfio Caruso
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Longanesi
- Anno di pubblicazione: 2015
“I nuovi crociati di Pio IX accorsero da tutta Europa.”
All’arruolamento, qualche volontario si presentò con una croce cucita sui vestiti. Erano i nuovi crociati, l’esercito del papa, da opporre nel 1860 alle camicie rosse, irriducibili anticlericali come il loro capo, Giuseppe Garibaldi, sbarcati in Sicilia per unire l’Italia. Nel timore che salissero fino a Roma, era stato lanciato ai cattolici d’Europa l’appello a formare un esercito. Sarebbero stati i Mille del papa, come Alfio Caruso li chiama nel saggio storico “Con l’Italia mai! La storia mai raccontata dei Mille del Papa”, dato alle stampe per Longanesi (2015, 315 pagine 18,60 euro).
È la storia mai raccontata di qualche migliaio di giovani europei, ma anche italiani, attratti a Roma da una paga non scadente (15 scudi, 900 euro al mese), mensa, vestiario, alloggio, pensione dopo trent’anni di servizio, ma soprattutto motivati dalla volontà di fronteggiare la deriva massonica che a loro avviso stava sommergendo il mondo, con la crescita dell’ex piccolo Regno di Sardegna. Per quei giovani neo crociati, i soldati piemontesi che calavano in tutta Italia e i politici che li spingevano erano un’armata di miscredenti mangiapreti.
Molto si dovette a Pio IX, al secolo il marchigiano Giovanni Mastai Ferretti, a lungo pontefice, dal 1847 al 1978. Era salito sul trono di Pietro con la fama di liberale e progressista, riconosciuta con generosità eccessiva quando, da cardinale legato a Imola, si era ingraziato l’opinione pubblica per qualche misura di alleggerimento del regime poliziesco imposto dai suoi predecessori in Romagna. Da papa invece rinnegò ogni apertura, tanto da diventare uno dei nemici del Risorgimento. Garibaldi lo apostrofò come quel metro cubo di letame, dopo il suo assenso alla riduzione allo stato laicale di don Tazzoli, che consentì l’impiccagione del sacerdote lombardo.
Altro protagonista della chiamata alle armi pontificie fu il segretario di Stato della Santa Sede, l’onnipresente Giacomo Antonelli, cardinale senza essere mai stato sacerdote (miracoli della curia vaticana). Va detto, tuttavia, che il potentissimo confidava solo nelle relazioni diplomatiche e considerava l’esercito papalino più che una risorsa una rogna.
Creatore dell’armata d’oltretevere fu il conte belga de Merode, consigliere del papa per le relazioni internazionali, già combattente nell’esercito francese in Algeria, poi ordinato abate a Roma. Vescovi, parroci, comitati sorti in tutta Europa in nome della difesa della croce, vennero mobilitati per promuovere l’arruolamento delle truppe che tentarono di contrastare l’annessione militare delle Marche al Regno sardo – per prevenire disordini coi garibaldini nel territorio pontificio, assicuravano da Torino – e poi combatteranno a Mentana nel 1867 contro le camicie rosse e difenderanno Roma nel 1870.
Si annunciano anche speciali indulgenze per i volontari, che affluiscono nei centri di reclutamento di Vienna, Marsiglia, Civitavecchia e Ancona. Serve un certificato di battesimo e un attestato della Curia che il candidato è scapolo e senza prole. Età massima 50 anni, minima 18, con l’assenso dei genitori. Altezza non meno di 1,53 cm. per la fanteria, 1,55 per la cavalleria. Non dei giganti, dopotutto, anzi dei tappetti, se si pensa che la giovane regina di Napoli, Maria Sofia di Baviera, toccava gli 1,70.
Il nucleo forte dei fedelissimi era costituito da un migliaio di uomini, in buona parte nobili cristianissimi, che nel decennio dall’unità d’Italia a Porta Pia metteranno le loro vite al servizio del papa e spesso saranno migliori della causa per la quale moriranno.
Tra le pagine del catanese Caruso, affiorano immagini del Mezzogiorno di allora che smentiscono la visione idilliaca del Regno borbonico oggi sostenuta dalla pubblicistica meridionalista.
Mancano le scuole, il numero di analfabeti, 84 su 100, è il doppio del Piemonte contadino. La fame è tanta, affrontata solo con pane e pasta. Nei centri abitati il popolo non consuma carne, verdure, formaggi, legumi, ortaggio e l’eccesso di carboidrati favorisce la diffusione del diabete. La mortalità infantile è spaventosa, la speranza di vita per gli adulti molto bassa, salvo qualche eccezione centenaria.
Mentre è vero che il Pil pro capite risulta superiore rispetto al Nord, lo si deve alle enormi ricchezze accumulate nelle mani di pochi, a fronte di masse sterminate di poverissimi. Anche il tanto vantato attivo di bilancio del governo borbonico è a detta di un sudista come Caruso
“frutto di una cieca politica di accumulo. Il Piemonte è in passivo per la riforma agricola e le guerre con cui sta espandendo i suoi confini. I Borboni non investono, non modernizzano.”
Dei 1848 comuni del Sud, ben 1621 non dispongono nemmeno di una strada campestre che li colleghi al contado.
Questo “paradiso perduto” era una cantina, non certo un attico.
Con l'Italia mai! La storia mai raccontata dei Mille del papa
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