Confessioni di un giovane di George Moore

“La mia anima per quello che ne capisco, ha preso con facilità forma e colore dai diversi modi di vita attraverso i quali io sono passato, spinto da una volontà personale e da un temperamento impetuoso. Quello che io possiedo è acquisito, o, per esprimermi con maggiore esattezza, il fortunato caso me lo ha dato, e continua a darmelo”.

In “Confessioni di un giovane” George Moore ripercorre, come in un romanzo, i suoi anni giovanili dai venti ai trenta, vissuti in Francia, in una Parigi di metà Ottocento bohémienne e seducente, narrando al lettore le sue passioni e le sue sconfitte. Nato a Moore Hall in una famiglia benestante, dopo aver lasciato i boschi verdi dell’Irlanda, senza mantenere l’anima e lo spirito della sua terra natale e superandone i confini nel diventare scrittore, Moore sarà l’autore che meglio d’ogni altro riporterà nella sua opera, insieme a Yeats, la tradizione dello spirito celtico. Individualista, dandy, anarchico e ribelle, con un carattere piuttosto irritante, seppe prendere in giro la morale, la religione, rivelando la sua anima tormentata e sofferente. Seppe esaltare la bellezza antica e la civiltà pagana, abbracciò le tesi del Naturalismo e l’arte e la letteratura in pieno periodo Decadentista lo formeranno a tal punto che la sua narrativa influenzerà profondamente il Novecento letterario e verrà ricordato nella cultura letteraria inglese come promotore di una rinascita culturale e di ribellione contro la tradizione vittoriana.
Poeta, romanziere, giornalista e critico d’arte, è dai più ricordato per il racconto “The Singular Life of Albert Nobbs”, dal quale è stato tratto, nel 2011, il bellissimo film Albert Nobbs. Rimpianti, aspirazioni, sogni, delusioni, sentimenti e il suo fervore artistico, sono tutti racchiusi nelle pagine del romanzo di “un autore antiromantico con eccessi romantici, cinico e dolorante e alla fine pentito”, come scriveva nel 1928 il critico e traduttore delle sue opere, Gian Dàuli.
Un libro scritto in diversi tempi, un libro di memorie della sua giovinezza, “uno splendore chiuso in sé”, come amava definirla, e della sua formazione artistica e umana. Custodendo dentro di sé l’amore per il poeta Shelly,

“perché è un nome che ha il suono e la trasparenza del cristallo come la sua poesia”

cercando risposte sulla vita in Kant e Spinoza, conobbe e frequentò i fondatori dell’Impressionismo, Manet, Degas, Monet; apprezzò le opere di Baudelaire e Verlaine prima che la loro fama arrivasse altrove. Amerà profondamente Parigi e la sua lingua tanto che al rientro a Londra e successivamente a Dublino, il suo inglese sarà particolare, corrotto da influssi francesi, tanto da sentirsi straniero in patria. Descriverà e racconterà il suo entusiasmo nel passeggiare per le strade parigine, dei caffè con i loro forti odori di uova cotte nel burro, di sigarette, di cognac cattivo e di assenzio, e del piacere nel rimanere seduto ai tavolini di marmo fino a notte fonda a parlare di Estetica, di Dio, delle profonde contraddizioni e delle crisi economiche e politiche che di lì a poco porteranno allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

“In un volo della fantasia vidi sorgere una nuova razza di scrittori che con i loro romanzi avrebbero condotta a una conclusione più gloriosa e più legittima l’opera cominciata dai profeti. A ogni sviluppo della teoria dell’arte nuova e della sua applicazione universale, il mio stupore aumentava e mi soffocava l’ammirazione”.

Un libro audace e spregiudicato per i suoi tempi, anche se in fondo non è che un diario personale intimo, doloroso e malinconico. George Moore non si censura e, in maniera del tutto naturale, come in una lunga e sincera confessione, narra degli incontri con pittori e scrittori, della scoperta di libri che come le persone possono “infiammare il sangue”, riporta le sue riflessioni, traccia i pensieri, e non meno ripercorre tristemente i suoi fallimenti di artista e scrittore.