Primo Levi come narratore di fantascienza è poco conosciuto, ma meriterebbe di essere riscoperto; se non altro perché a lui dobbiamo alcune invenzioni profetiche, come quella del Versificatore, una macchina futuristica che oggi appare spaventosamente simile alla nostra contemporanea ChatGPT. Solo la mente eccelsa di uno scrittore-scienziato poteva partorire un’idea del genere, in grado di fondere il sapere umanistico con le più avanzate tecnologie scientifiche.
Il Versificatore è il titolo di un racconto di Primo Levi contenuto nella raccolta Storie naturali (1966) che l’autore pubblicò sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila. Quel nome d’arte era stato ispirato a Levi dall’insegna di un elettrauto che vedeva ogni giorno mentre si recava in ufficio.
La raccolta di racconti fantascientifici di Levi ebbe successo negli anni Sessanta e ispirò alcuni adattamenti per la radio e la televisione; oggi meriterebbe di essere letta e riscoperta, perché almeno una delle invenzioni di Primo Levi si è avverata.
Le storie naturali di Primo Levi
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Scritta nell’arco di vent’anni, dal 1946 al 1966, Storie naturali è una raccolta di quindici racconti dalle atmosfere fantascientifiche, in cui Primo Levi affronta le tematiche più disparate: l’avvento delle macchine robotiche, la supremazia della Scienza sulla ragione, il mistero della Creazione capace di generare nuova vita e di animare persino l’inanimato.
Tutti i racconti vedono come protagonista il Dottor Simpson, ritenuto un “venditore di meraviglie”, che lavora per un’azienda americana chiamata NATCA con sede a Fort Kiddiwanee in Oklahoma.
La maggior parte delle storie sono ambientate in claustrofobici laboratori scientifici che ricordano le gelide strutture di Auschwitz dove Levi aveva lavorato come chimico. Tra i temi affrontati dallo scrittore vi è, non a caso, la follia dell’eugenetica.
Quei racconti di certo risentivano delle atmosfere pioneristiche degli anni Sessanta, un momento di sfrenata fede nel progresso scientifico che sarebbe stata ricompensata con lo sbarco dell’uomo sulla Luna. Pensiamo alle Cosmicomiche di Italo Calvino o alle Cronache marziane di Ray Bradbury, scritti proprio in quel periodo.
Il futuro utopistico previsto da questi scrittori, come sappiamo, si è in parte avverato e dunque non era poi così lontano dal vero. Tra le strambe invenzioni scientifiche ipotizzate da Primo Levi ce n’è una, in particolare, che oggi ricorda spaventosamente la nostra intelligenza artificiale. Nel racconto intitolato Il Versificatore, Primo Levi immaginava l’avvento di una macchina scientifica capace di comporre poesie. Se la storia, negli anni Sessanta, poteva risultare originale e curiosa, oggi ci fa proprio inorridire perché la vediamo avverarsi nella tecnologia di ChatGPT capace addirittura di scrivere un libro. Almeno Levi si era limitato alle poesie; ma, si sa, la realtà supera sempre l’immaginazione.
In ogni caso il talento dell’autore fu riconosciuto, la raccolta Storie naturali nel 1967 vinse un prestigioso premio letterario milanese: il Premio Bagutta.
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Cos’è il Versificatore?
Il primo racconto fantascientifico di Primo Levi poneva al centro una macchina sbalorditiva, chiamata Il Versificatore. Veniva presentata al lettore come tutte le macchine d’epoca, dunque piena di ingranaggi, leve e bulloni, perennemente borbottante e molto rumorosa. Il prodigio compiuto da questa macchina inventata da Levi era quello di scrivere poesie. Era sufficiente impostare la lunghezza del verso, lo schema della strofa e delle rime ed ecco che Il Versificatore creava una bella poesia, nuova di zecca. Vi ricorda qualcosa?
Nel racconto la macchina viene acquistata proprio da un Poeta a corto d’idee che, grazie all’aiuto del Versificatore, crede di aver trovato la salvezza, delegando alla tecnologia l’ingrato compito dell’ispirazione. Il testo è impostato come una pièce teatrale e si regge sul dibattito tra il poeta e la sua segretaria, che invece crede la macchina incapace di “vero gusto, vera sensibilità”. Il Versificatore infatti a volte si inceppa, oppure propone rime assurde e false come “rospo-nascospo”. Nella composizione di un sonetto la macchina si blocca e si rende necessario l’aiuto del luminare, il dottor Simpson che prontamente interviene nel dibattuto tra la segretaria e il Poeta. Il dottore è sempre pronto a giustificare le manchevolezze della sua creatura, che assicura è capace di creare un sonetto in soli “ventotto secondi”.
La prontezza e la velocità della macchina - che infatti riesce nel suo compito - sfidano le esitazioni e la fallibilità umana. Il Poeta, esitante, contrappone alla genialità della macchina un problema deontologico: “Sono un poeta laureato, io” si difende. La felicità del poeta, dopotutto, non è proprio quell’atto di creazione ora delegato alla velocità della macchina? Ma nel finale del racconto il Poeta esitante rivela di aver utilizzato Il Versificatore per oltre due anni, delegando alla macchina (felicemente) tutte le sue incombenze quotidiane, non solo la poesia, ma persino la contabilità.
Senza saperlo Primo Levi scrivendo Il Versificatore anticipava di sessant’anni un dibattito molto contemporaneo. Come non vedere oggi, nelle rimostranze avanzate dalla saggia segretaria, le opinioni di molti umanisti, critici, letterati che osservano il prodigio di ChatGPT con dissenso e un velo di preoccupazione?
Il Versificatore di Primo Levi in televisione
Da Il Versificatore di Primo Levi fu tratto anche un cortometraggio andato in onda su Rai 1, nel 1971, con protagonisti Gianrico Tedeschi (nei panni del poeta) e Milena Vukotich (nel ruolo della segretaria).
Il testo profetico di Levi andò in onda anche in una versione radiofonica del 1967 con la regia di Andrea Camilleri e l’interpretazione di Arnoldo Foà e Didi Perego.
Forse oggi, a profezia avverata, meriterebbe un nuovo adattamento.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cos’è il Versificatore, inventato da Primo Levi 50 anni prima di ChatGPT
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