Così parlò Bellavista
- Autore: Luciano De Crescenzo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
“Saggistica o narrativa? Diciamo che i capitoli dispari aspirano alla prima qualifica, malgrado siano stati scritti in forma puramente descrittiva, ed i capitoli pari alla narrativa, non essendo altro che semplici «fattarielli» napoletani, alcuni veramente vissuti in prima persona ed altri raccolti dalla cronaca. Marotta e Platone le guide funzionali del libro: Marotta per i pezzi di colore e Platone per i dialoghi tra il professore Bellavista, nella parte di Socrate, ed alcuni suoi allievi filosofi più o meno disoccupati”
Così Luciano De Crescenzo, nella prefazione da lui curata, spiega l’impianto del libro “Così parlò Bellavista – Napoli, amore e libertà” (1977, Mondadori), un’opera dunque in cui si intrecciano due piani: uno di tipo conoscitivo, in cui predomina il logos; l’altro che fa leva sull’eros per esprimere il sentimento della napolitanità, affidata all’oralità popolare. Non a caso viene citato due volte Ignazio Buttitta, poeta di Bagheria, in provincia di Palermo, che utilizza “la lingua dei padri” per cantare in piazza la sua Sicilia vittima di soprusi d’ogni tipo.
Il titolo fa subito venire in mente il “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, ma qui il protagonista è un professore di filosofia in pensione: succube della mentalità consumistica della sua famiglia, conoscitore di Napoli e indagatore del senso della vita, è benvoluto per la sua capacità dialettica, riuscendo a intrattenersi in buone conversazioni con gli amici che vanno a trovarlo in casa. Ricordiamone alcuni nomi:
- Salvatore Coppola, vice sostituto portiere,
- Saverio che sta sempre a disposizione,
- Luigino, bibliotecario e poeta,
- il dottor Vittorio Palluotto, napoletano trasferitosi a Milano.
Parlando di Bellavista all’ingegnere De Crescenzo, che si unisce alla comitiva, Salvatore lo presenta in modo estroso:
“Dice il professore che l’umanità si divide in quelli che si fanno la doccia e in quelli che si fanno il bagno”.
Coloro che hanno fretta – i produttivi come i milanesi - vogliono consumare meno acqua e meno tempo, si fanno la doccia e si lavano meglio. Chi, invece, ha voglia di riflettere e di pensare in comodità e solitudine facendo uso del proprio tempo per se stesso - il napoletano - si fa il bagno:
“si sdraia nella vasca e aspetta che l’acqua si fa fredda”.
A volte il professore parla alla maniera di Gibran ne “Il profeta”: pone problemi, sollecita la riflessione e, muovendo dalle osservazioni che gli vengono fatte, espone le sue convinzioni tra Epicuro e Russell. Le conversazioni si susseguono in modo magmatico: si aprono a ventaglio, si intersecano e suggestionano di più quando la logica astratta si contamina con la realtà. Dal disegno narrativo si configura innanzitutto il valore attribuito al mondo degli affetti che colorano la vita, tant’è che il filo conduttore del variegato scenario può essere individuato nella teoria dell’amore e della libertà vista in opposizione al potere che schiavizza ogni forma di sentimento. Dice il professore:
“È ovvio che la capacità d’amore è diversa da uomo a uomo, per cui esiste l’egocentrico, la cui forza d’amore è zero, il soggetto che ama solo i suoi familiari, quello che ama maggiormente i suoi connazionali, i filantropi che amano la umanità intera, per finire a S. Francesco che amava con la stessa intensità tutto l’Universo in ogni sua manifestazione (...). Io non voglio pagare il progresso con una perdita d’amore. Io vorrei tentare una strada diversa, una strada che non abbia bisogno di ricorrere al potere e alla competitività".
Egli, reagendo all’omologazione culturale, si fa così difensore del non-potere come possibilità di perfezionamento interiore. Rifiutando i manipolatori del consenso che sanno demagogicamente utilizzare i bisogni dell’inconscio collettivo, precisa:
"E già perché è proprio così che io valuto il potere. Una libidine violenta che ti prende e ti domina. Un’eccitazione più forte di te, che ti fa passare sopra a qualsiasi bassezza. Una forza che non conosce amicizia, senso dell’onore, pietà per i deboli. E allora si finisce con il comprendere il tradimento, con il giustificare la tortura (...). E così nascono i grandi ideali, ovvero le grandi "Scuse storiche" (...). Ma per scegliere con cura gli ideali migliori io debbo sondare l’animo umano e capire quali corde vanno toccate (...) E così scopro che gli ideali traenti dell’animo umano sono tre: Dio, patria e giustizia".
Gli aneddoti, che nel libro sono scritti con carattere più minuto, possono sostanzialmente leggersi in modo autonomo. Tanti i personaggi che, animati dal grottesco, si lasciano accarezzare bonariamente, in quanto veraci e umani al punto da consegnarci il ritratto di una condizione umana. Si potrebbe ricordare Gennaro, disoccupato e senza fissa dimora, che dorme per anni nella Fiat millecento bicolore con i sedili ribaltabili del cavaliere Sgueglia, senza che questi se ne accorga. S’incontra il tassista che chiede soldi per pagare la multa al suo passeggero, poiché costui gli aveva detto di ‘andare di fretta’. C’è Zorro con gli espedienti messi in atto per entrare allo stadio senza pagare il biglietto. E ispira simpatia “il mariuolo” che con ingegno e furbizia si dà da fare per guadagnare qualcosa con il furto. La scrittura, pur essendo piana e colloquiale, nella parte più argomentativa affatica il lettore, ma non l’annoia, per l’aggrovigliarsi degli argomenti. Comunque, l’operetta ha il pregio di mostrare la bellezza identitaria di un ambiente, dove campeggia l’anima di Masaniello. Potrebbe ormai sembrare stereotipato il modello culturale del napoletano povero, ma inventivo, e del continentale dedito all’utile e indifferente all’entusiasmo del vivere. Eppure, nel libro c’è una verità da gustare, valevole per tutti: il sorriso e l’affabilità sorreggono il peso del vivere. Le cose viste con la leggerezza dello sguardo brillano come gioielli di rara fattura. E con questi ingredienti la vità può anche volare.
Così parlò Bellavista. Napoli, amore e libertà
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