La giornata internazionale della donna è, innanzitutto, una festa di libertà.
Essere donna è rifiutarsi di essere schiava, nonostante le donne abbiano accettato questa schiavitù per secoli e, in seguito, si siano ribellate con le loro “sante guerre per l’emancipazione”.
Patrizia Cavalli, la “poeta” come appunto amava definirsi, non ha mai trascurato la questione femminile che si legava anche a un’importante analisi identitaria che attraversava i suoi versi come una corrente. Nelle sue poesie troviamo tutta la mutevolezza del vivere, cantata con ironia alternando paradossi, iperboli di felicità a immagini drammatiche, il tutto narrato con un lessico piano, semplice e familiare. Tra giornate che passano “come un’ala di rondine” e la ricerca ostinata della felicità in un cielo “qualche volta azzurro, qualche volta no” ecco che la poeta si focalizza sulle immagini del femminile che rivelano anzitutto la fatica e la forza di essere donna.
Delle donne Patrizia Cavalli celebra la sensualità e la fragilità, la bellezza dalle mille sfumature proprio come l’esistenza dalle giornate talvolta amare, talvolta o no, dai cieli plumbei che poi diventano all’improvviso sereni, l’eterna complessità dell’istante. Ogni verso di Patrizia si configura come un “ragionar poetico” venendo a configurare una poesia esistenziale che tuttavia parla un linguaggio universale e, infine, ci pone nel mezzo di una verità intesa non come risposta o morale, ma come visione o sogno.
Spesso le liriche di Patrizia Cavalli non hanno titolo, ma si aprono con un’esclamazione, come Così schiava. Che roba! che lacera la pagina e sembra prorompere in un grido. Contenuta nella raccolta Datura (Einaudi, 2013) questa poesia ci consegna un importante messaggio sull’emancipazione femminile ed è importante da leggere in occasione dell’8 marzo.
Come molte altre poesie di Patrizia Cavalli Così schiava. Che roba! si configura alla stregua di una visione che irrompe nella trama del quotidiano con una prospettiva rivelatrice. Alla presa di coscienza di una condizione - ovvero la sottomissione della donna - fa eco una precisa presa di posizione, la ribellione decisiva, la scelta del libero arbitrio.
Vediamone testo e analisi.
“Così schiava. Che roba!” di Patrizia Cavalli: testo
Così schiava. Che roba!
Così barbaramente schiava. E dai!
Così ridicolmente schiava. Ma insomma!
Che cosa sono io?
Meccanica, legata, ubbidiente,
in schiavitù biologica e credente. Basta,
scivolo nel sonno, qui comincia
il mio libero arbitrio, qui tocca a me
decidere che cosa mi accadrà,
come sarò, quali parole dire
nel sogno che mi assegno.
“Così schiava. Che roba!” di Patrizia Cavalli: analisi e commento
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Perfetto esempio del “ragionar poetico” di Cavalli, Così schiava. Che roba! segue la retorica del paradosso. La poeta parte dalla condizione di schiavitù per scrivere un inno alla libertà. Il focus della lirica è la riflessione sull’emancipazione femminile che qui si declina in un’ottica esistenziale espressa dalla domanda centrale: “Che cosa sono io?”
Alla progressiva presa di coscienza di essere “schiava” si affiancano avverbi iperbolici, ovvero “barbaramente”, “ridicolmente”, che infine culminano nel rifiuto supremo di questa condizione: “Basta”. Non è la prima volta che l’autrice indaga sé stessa e il proprio corpo, in particolare l’insondabile enigma della sua “nemica mente”; ma qui il ragionar poetico dei suoi versi si apre a una dimensione universale, non riguarda più soltanto lei, ma dà voce a ogni donna sebbene si esprima alla prima persona singolare.
La poesia parte dal presente e poi si coniuga al futuro nel momento esatto in cui avviene il cambiamento, la presa di coscienza che dà poi adito alla ribellione.
La “schiavitù” di cui parla Cavalli è la metafora per indicare un femminile che si muove e cerca di affermarsi in una società declinata al maschile che di fatto lo soffoca, non concede spazio di espressione. Come donne viviamo in bilico, spesso piegandoci a un’immagine che gli altri ci impongono, nostro malgrado: l’essere figlie, l’essere sorelle, amiche, mogli, amanti. Seguiamo inerti una quotidianità fatta di stereotipi, una catena che si protrae di generazione in generazione; ma attraverso un grido che squarcia la pagina Patrizia Cavalli dà parole alla ribellione che talvolta attraversa, con uno scatto di insofferenza, le azioni più semplici e usurate del quotidiano.
Da qui nasce la consapevolezza di essere “meccanica, legata, ubbidiente” preda di quella schiavitù biologica che appunto intrappola le donne da secoli in virtù del loro sesso. Chiudendo gli occhi dinnanzi a questa realtà, scivolando nel sonno, la poetessa prende quindi coscienza del proprio “libero arbitrio” che assume i contorni rivelatori di una visione.
Ed è qui che davvero prorompe il grido sotteso alla poesia, nella facoltà di autodeterminazione espressa dai versi finali:
il mio libero arbitrio, qui tocca a me
decidere che cosa mi accadrà,
come sarò, quali parole dire
Implicitamente è questo il messaggio che Patrizia Cavalli indirizza a tutte le donne, ovvero afferrare le redini della propria vita, decidere del proprio destino, chi essere e quali parole dire. La libertà si risolve nell’autodeterminazione dell’essere, nel tentativo di assumere il proprio “io singolare proprio mio”.
Il finale rappresenta la rivelazione più bella e intensa dell’intera poesia: “il sogno che mi assegno”, indica che ciascuno di noi è il proprio sogno, la propria singolare visione di futuro, l’obiettivo implicito che si è assegnato. Solo così forse impareremo a vivere, a essere donne nel pieno senso del termine, come lo intendeva Simone de Beauvoir nell’affermazione: “Donne non si nasce si diventa”.
Patrizia Cavalli attraverso il suo grido poetico Così schiava. Che roba! ci invita a diventarlo, con la consapevolezza di chi ha vissuto rimanendo sempre fedele a sé stessa, al proprio “io singolare”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Così schiava. Che roba!”: la poesia di Patrizia Cavalli per tutte le donne
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