Crossroads
- Autore: Jonathan Franzen
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2021
Mi accingo a scrivere di un libro bello, lungo, difficile, a volte impervio, talvolta ironico, o serio e perfino commovente. Dopo Le correzioni non avevo più molto amato Franzen, ma ora, alla fine della lettura del suo ormai conclamato grande romanzo familiare, Crossroads (Einaudi, 2021, trad. S. Pareschi), con piacere confermo che è un grande scrittore, profondo, colto, raffinato, aperto alle sollecitazioni di un paese, gli Stati Uniti nella loro parte più interna, che ispirano la materia densa dei suoi romanzi.
La fascetta che l’editore Einaudi ha posto sulla copertina del libro parla di “Una grande nuova storia familiare”: in realtà a me è sembrato che lo scrittore abbia scritto sei storie, quella dei singoli componenti della famiglia Hildebrandt, separando le loro vicende e attuando la tecnica narrativa del flashback, in modo da consentire al lettore di conoscere il passato e i luoghi oscuri delle vicende dei vari personaggi.
Il tempo della storia va dall’Avvento, il mese di dicembre del 1971, alla Pasqua successiva, nella primavera del ’72; il luogo dell’azione è la cittadina di New Prospect, presso Chicago, in Michigan, dove sorge la chiesa locale, la First Reformed, di cui il pastore Russ Hildebrandt svolge le funzioni di vice: la chiesa annovera un più anziano prelato, e uno molto più giovane, Rick Ambrose.
Russ è sposato da oltre vent’anni con Marion, sua collaboratrice nella stesura dei sermoni, e la coppia ha quattro figli: Clem, ora al college, Becky, bella cheerleader di successo, poi Perry, intelligente, complicato, introverso, e infine il piccolo Judson di appena nove anni. Marion è molto ingrassata, il suo rapporto col marito è in crisi, lui è attratto da una giovane e spregiudicata parrocchiana, recente vedova, Frances, che comincia con l’inesperto e fragile Russ un gioco pericoloso.
Al centro dell’attività della pastorale giovanile della chiesa una sorta di associazione, Crossroads, raduna moltissimi adolescenti e giovani adulti, di cui il pastore Ambrose gode la piena fiducia, per la sua disinvolta relazione con loro; al contrario Russ è molto più legato alla spiritualità che viene dalle Sacre Scritture e dalla preghiera, cosa che lo allontana dai ragazzi, provocando una profonda spaccatura nel gruppo, più favorevole ai metodi molto laici di Rick.
La stessa distanza che Russ ha provocato nei suoi figli, che lo temono e se ne tengono lontani, riservandogli un atteggiamento di disprezzo, dopo che la propensione del padre per la bella Frances, dal cappello da cacciatore, sembra sotto gli occhi di tutti.
Ma non si può riassumere tutto quello che Jonathan Franzen ha messo in questo romanzo lungo, a tratti difficile, in alcune parti di difficile lettura. Il passato di Marion, che lei ha gelosamente tenuto segreto al marito, la sua fragilità psichica che le viene dal padre e che sembra tramandata al figlio Perry, coinvolto in una dolorosa storia di droga, la mettono in estrema difficoltà nei confronti della famiglia.
Clem ha lasciato il College, la ragazza che pensava di amare, ed è fuggito in Perù dove lavora da contadino; Becky si è innamorata del cantante folk Tanner, che segue nelle tournée fino in Europa. Russ, che da giovane aveva lavorato nel territorio dei nativi Navajo, e che pensava di riproporre quella esperienza ai giovani di Crossroads, riceve una terribile delusione, costretto a fare i conti con un’epoca diversa, quella degli Hippies, dei capelli lunghi, delle eterne chitarre delle band, della marijuana, della comparsa della cocaina, della libertà sessuale, dello sballo come sistema di scambio tra ragazzi che non riescono più a entrare in sintonia con la chiesa cristiana, né cattolica né riformata.
Russ e le sue insicurezze, psicologiche e sessuali, Marion e i suoi terribili segreti troppo frettolosamente sepolti, Clem e la sua fuga dagli Usa dopo che non l’avevano arruolato in Vietnam come aveva richiesto, Perry, il più infelice in questa famiglia disfunzionale, e infine Becky, che sembra interpretare l’aspetto più positivo di questa storia, disegnano nelle pagine di Franzen una grande “pastorale americana”, per rubare un fortunato titolo a Philip Roth: la religione, la preghiera, le buone opere, Dio sono al centro della vita di questi personaggi così ben tratteggiati, ma la salvezza in questo mondo sembra loro preclusa.
La società americana consumista, materialista e capitalista in epoca nixoniana appare più potente del moralismo, della severità dei costumi che provengono dalla cupa moralità degli antenati Padri Pellegrini. La setta dei Mennoniti, da cui proviene Russ, una filiazione della chiesa anabattista, aveva reso il giovane Russ, bello e buono, un uomo fragile, insicuro, inadeguato, un fuscello nelle mani della volitiva e sensuale Marion.
La lingua raffinata, le citazioni colte, l’apertura verso diverse culture rendono questo romanzo unico; commovente, per quel che mi riguarda, soprattutto per l’anno in cui si svolge la storia, il 1971. In quell’estate preparavo in California la mia tesi di laurea su Norman Mailer e ascoltavo alla radio Carole King e Bob Dylan, mentre si spandeva nei viali di Berkeley l’odore dell’erba, fumata da quasi tutti i "capelloni". Questi nomi e questa atmosfera sono riprodotti in modo straordinario da Franzen, a cui sono grata per avermi riportato a quegli anni così intensi, leggendo le pagine di un romanzo ricco e sincero.
Crossroads
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