Da Adua ad Adua. Ri-vendicare Baratieri
- Autore: Ruggero Morghen
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
Oreste Baratieri, trentino di Condino (1841-1901), fu patriota risorgimentale governatore dell’Eritrea dal 1892 al 1896, comandante in campo nella battaglia di Adua, la sconfitta che ha cancellato dalla storia d’Italia la sua carriera militare e la memoria del valido passato. Nel volume storico Da Adua ad Adua. Ri-vendicare Baratieri (Edizioni Solfanelli, Chieti, collana Faretra marzo 2022, 144 pagine), un pubblicista corregionale di Riva del Garda, Ruggero Morghen, ricercatore appassionato di storia, bibliotecario e autore di saggi sul Novecento fiumano dannunziano, ha firmato per il marchio del Gruppo editoriale Tabula Fati un’apologia dell’alto ufficiale e prima ancora garibaldino, nato suddito dell’impero d’Austria.
Una riabilitazione che l’autore ha inteso realizzare davanti ai posteri, in un saggio che ha tono e contenuto d’altri tempi, sebbene apparso solo qualche mese fa.
Un lavoro molto accurato e ampiamente documentato, che spazia dalla storiografia alla letteratura, tocca il cinema e il costume, scandagliando tutto quanto abbia potuto riguardare il protagonista. Si estende alle tardive operazioni coloniali italiane nel Corno d’Africa, tra la prima guerra d’Abissinia dell’Italietta di Crispi a fine Ottocento e la guerra d’Etiopia nel 1935-36, scatenata dall’Italia fascista di Mussolini.
Il 1 marzo 1896, ad Abba Garima - poco distante dalla città di Adua, nella regione etiopica settentrionale del Tigrè - le colonne mal separate del corpo di spedizione regio al comando di Baratieri subirono una battuta d’arresto durissima, la più pesante per una Nazione impegnata in una guerra di conquista coloniale. La sintesi storica, tratta dal sito del Quirinale, lo considera un disastro militare: 14mila soldati del nostro esercito attaccati e sconfitti da 120mila etiopici al comando del Negus Menelik. La pace conseguente di Addis Abeba annullò il protettorato italiano e riconobbe l’indipendenza dell’Impero Etiopico come stato sovrano. L’Italia riprenderà Adua e l’intera Etiopia solo con la guerra coloniale fascista.
Il 2 ottobre 1935, Mussolini annuncia a piazza Venezia che le truppe hanno varcato i confini tra Eritrea ed Etiopia:
“Abbiamo pazientato quarant’anni: ora basta”.
Il 6 ottobre, è raggiunta Adua. L’8 novembre il tricolore sventola davanti al forte Enda Jesus a Macallè, dove il presidio del maggiore Galliano era stato costretto a ritirarsi quarant’anni prima dopo una coraggiosa resistenza. Il 5 maggio 1938 gli Italiani entrano nella capitale etiopica, Addis Abeba. Il 9 maggio, Eritrea, Etiopia e Somalia (escluso il Somaliland britannico) formano l’Africa Orientale Italiana. La stampa nazionale esalta la riconquista delle località simbolo di una tragedia coloniale che la propaganda di regime rilegge come epopea eroica, facendo dimenticare presunzioni, improvvisazioni, errori e omissioni dei governanti e militari umbertini.
Si conclude vittoriosamente quella che lo storico Marco Patricelli ha bollato come l’ultima avventura imperialistica europea, condotta abbondantemente fuori tempo per costituire il più effimero dominio coloniale.
La proclamazione dal balcone romano di Piazza Venezia rappresenta il culmine del consenso degli Italiani per Mussolini. I connazionali avevano ben accolto la parola d’ordine di vendicare Adua. Approvano l’impresa anche gli intellettuali ed esponenti afascisti della cultura e della scienza. D’Annunzio, dal suo buen retiro sul Garda, si felicita con il Duce. Eppure ricorrono i segni del solito andazzo: primo inconcludente comandante italiano era stato un “vecchietto di settant’anni”, Emilio De Bono, per dare all’impresa una verniciatura marcatamente fascista.
C’è chi passa dall’entusiasmo alla disillusione, come il grande giornalista Indro Montanelli, giovane volontario e ufficiale di una bandera di coraggiosissimi eritrei e poi, da protagonista, pesante critico dell’avventura coloniale. Considera “un’autentica fregnaccia” costruire un impero nel ’35, quando chi li aveva pensava di liquidarli, perché ormai antistorici.
C’è chi tenta di riproporre la figura di Baratieri, ma si tratta di una riabilitazione piuttosto timida a livello nazionale: non si voleva fare ombra in alcun modo a Mussolini, “l’uomo provvidenziale” dell’omelia del cardinale di Milano Schuster. Molto più fervente il riscatto della memoria operato nel suo Trentino, dove il generale viene riammesso nel Pantheon nazionalistico, come eroe risorgimentale, “uno dei Mille”, “sempre caro agli irredentisti trentini”.
Oreste prese parte giovanissimo alla spedizione da Quarto, dopo aver frequentato le medie a Rovereto, il ginnasio di Trento e il collegio dei Benedettini a Merano, dal quale fu costretto a fuggire alla fine del 1858, per aver dato sfogo ai propri sentimenti patriottici. Durante una cerimonia religiosa, era stato sorpreso a leggere le poesie di Giuseppe Giusti. Tornato nell’abitazione di famiglia ad Arco, raggiunse poi Milano, dove entrò in contatto con ambienti patriottici e si arruolò per l’impresa garibaldina.
A Marsala si distinse tra i cannonieri. Uno dei notisti delle camicie rosse, Giuseppe Cesare Abba, lo descrive giovinetto diciannovenne,
“pigliato allora dalla fortuna che non lo abbandonò più per trentasei anni e doveva elevarlo come nulla, nel buio”.
Venne decorato, promosso da semplice volontario fino al grado di capitano e partecipò all’intera spedizione, oltre alle operazioni garibaldine in Trentino nel 1866. Entrato nell’Esercito Regio, riprese la carriera come esperto di spedizioni geografiche e questioni coloniali.
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