Decennio rosso
- Autore: Massimo Battisaldo e Paolo Margini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2013
Sofia ha una coscienza politica, un bel nome di battaglia (Anita) e l’età giusta per amare & sparare se capita, come amano & sparano in molti se capita, nell’acceso milieu dei Settanta. Ricordatevi di Sofia perché è una ribelle-tipo di quell’epoca e perché ci torneremo più giù.
Prima voglio dirvi che lo stereotipo degli “anni di piombo” a posteriori è servito a tanti (saggisti, romanzieri, politici, mezzibusti tv, giornalisti) per evadere sulle cause che li hanno determinati. Come se il livello dello scontro si fosse d’improvviso alzato per partenogenesi (come se uno Stato colluso e un PCI dal canto suo consociativo non c’entrassero affatto), discendente cioè dalla pazzia improvvisa di formazioni armate nel migliore dei mondi possibili. Con un taglio da docu-fiction acuminata, “Decennio rosso” (Edizioni Paginauno, 2013) rivela le ragioni dello scontro, arrivandoci dall’interno di una organizzazione clandestina (Prima Linea).
E il fatto che i suoi autori – Massimo Battisaldo e Paolo Margini – siano stati coinvolti nei rivoli della lotta (militante delle Formazioni Comuniste Combattenti il primo, di Prima Linea il secondo), non è decisivo quanto risultano la prospettiva imparziale e la struttura narrativa del romanzo.
Contiguo al percorso di formazione (politica, sentimentale, umana) di Sofia-Anita (ci siamo tornati, un’eroina letteraria per la quale patteggi, che non si dimentica) gravita il macrocosmo esemplare – storia e contro-storia – della gioventù post-movimentista del decennio rosso. Un collettivo allargato, impegnato, illuso, perso (ma in buona parte anche ritrovato) tra picchetti antelucani, espropri proletari, dibattiti, covi, scontri di piazza, incendi di fabbriche, clandestinità, botte prese e date, il famigerato Parco Lambro del 76, femminismo, gambizzazioni, carcere, l’eco delle prime azioni brigatiste, fino alla chiave di volta dell’omicidio Moro che illividisce la prassi dello scontro, facendo si che nulla sia come prima.
“Decennio rosso” è, in altre parole, un solido romanzo teso, senza la vanagloria stucchevole dei thriller. Il lungo piano sequenza di una stagione senza vincitori né vinti, che ha pagato un prezzo molto caro di vite spezzate, da una parte e l’altra delle forze in campo. Con una differenza sostanziale tra le une e le altre desumibile dalle parole di Rick, a p. 274 del romanzo (ma il lungo monologo-confessione inizia a p. 268 ed è - credetemi - da prendere alla lettera):
“Abbiamo sparato alle divise, ma sono morti gli uomini che c’erano dentro. E se alla fine da sacrifici di questo tipo non è scaturito alcun bene non dico per tanti, ma neanche per pochi, allora restano, per gli anni a venire, solo i buchi in quelle divise conservate dai genitori, dalle vedove e dagli orfani, cui è di poca consolazione sapere che in noi oggi c’è il rimorso. Un rimorso che gli uomini delle istituzioni non hanno mai mostrato per le loro uccisioni : né i politici, mandanti morali della strategia della tensione, né i vertici militari che hanno ordinato le azioni, né gli agenti che le hanno eseguite. Tutti loro si sentivano legittimati dalle divise che indossavano: la divisa dello stato. Ma i loro atti, erano legittimi?”
Anche alla luce del focus utilizzato dagli autori, “Decennio Rosso” è uno dei romanzi più riusciti che mi sia capitato di leggere sul tema della lotta armata. Un romanzo dialettico, al contempo muscolare e poetico. Della cruda poesia dei migliori romanzi-verità e col valore aggiunto dell’intelligenza del saggio non pregiudiziale.
Decennio rosso
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