Il 15 marzo 1738 nasceva a Milano Cesare Beccaria che, appena 26enne, legò il suo nome al trattato Dei delitti e delle pene, più noto che conosciuto. A 285 anni dalla nascita del suo autore, ve ne presentiamo alcune linee portanti, senza pretese di esaustività o approfondimenti giuridici.
Dei delitti e delle pene: struttura e temi trattati
Il Settecento illuminato è teatro di sperimentazioni e cruciali discussioni politiche tra cui – come molti ricordano - la liceità della pena di morte che fa capo a Cesare Beccaria (1738-1794). Ma questo è solo uno dei temi contenuti nell’opuscolo Dei delitti e delle pene, pubblicato anonimo a Livorno nel 1764 per evitare guai con la censura, attacchi personali, ritorsioni. Lo stile razionale e appassionato colpì profondamente l’opinione pubblica, tanto più che gli argomenti affrontati potevano offrire il destro, per la loro stessa natura, a un tono filantropico e di commovente paternalismo. L’autore scarta questa strada impostando il suo discorso su un piano di lucida razionalità. Pochissime le note esplicative sul modello della pubblicistica francese contemporanea.
Il pamphlet è diviso in 42 brevi capitoli, ognuno dei quali tratta un aspetto specifico. Scopo complessivo è dimostrare le storture del sistema giuridico vigente, che l’autore smaschera come meccanismo repressivo rappresentato nei suoi rituali di violenza ingiustificata. Infatti il sistema giudiziario piuttosto che essere al servizio della giustizia è asservito a un sistema di potere e soprusi, dietro il quale si profila l’ingiustizia dell’intera società che lo esprime. Non il benessere, ma la sofferenza della maggior parte dei cittadini è il risultato di una struttura giudicata irrazionale.
Sono numerose le domande messe in campo: qual è lo scopo della legislazione penale? Come occorre amministrare la giustizia? Qual è il fine della pena conseguente a un reato? L’opera di Beccaria ispirò la riforma del codice penale del 1786 nel granducato di Toscana, il primo Stato al mondo che abolì la pena di morte. Vediamo in sintesi e senza pretese di esaustività i punti di maggiore interesse.
Qual è lo scopo della legislazione penale? Qual è il fine della pena conseguente a un reato?
Lo scopo della legislazione penale non deve essere quello di eseguire una vendetta, ma di permettere il raggiungimento di una condizione di sicurezza collettiva, impedendo al colpevole di compiere ulteriori reati e scoraggiando altri dal commetterne. Cesare Beccaria, pertanto, interpreta la pena secondo una prospettiva contrattualista come risarcimento e monito collettivo. Perché? Beccaria si rifà al Contratto Sociale di Rousseau. Per il contrattualismo lo Stato nasce da un patto tra i suoi membri volto a garantire a ciascuno il godimento dei diritti fondamentali e la sicurezza collettiva: la società, quindi, nasce da una parziale rinuncia della libertà di ciascuno in vista dell’utile comune.
Quanto al reato, Beccaria sfiora con lungimiranza le origini sociali del crimine, spesso frutto di necessità economica. Criminalità e devianza devono essere combattute con una strategia preventiva che incentivi l’istruzione e riduca la forbice sociale. Come osserva Voltaire
“la vera giustizia consiste nell’impedire i delitti”.
Il passaggio da una pena repressiva (punitur quia peccatum est) a una pena preventiva (punitur ne peccetur) ispirerà il diritto nei secoli a venire. Quanto alla pena deve essere proporzionale alla colpa in un insieme di leggi chiare e prive di porosità soggettivamente interpretabili.
La distinzione tra reato e peccato: una novità
Il reato risponde a un sistema di leggi concordato tra gli uomini, di conseguenza deve essere definito in un’ottica laica, storica e immanente. Tale laicizzazione della giustizia è l’argomentazione più forte contro l’abolizione della pena di morte, perché è proprio arrogandosi il diritto di esprimere insieme la legge umana e divina che gli Stati condannavano a morte un presunto colpevole.
Perché è necessario abolire la tortura?
La tortura non serve per appurare la verità, anzi nella maggior parte dei casi sortisce un effetto boomerang: un colpevole dal fisico robusto ha più probabilità di farla franca rispetto a un innocente debole che, pur di scampare il dolore, è disposto a confessare qualsiasi cosa. Certo l’argomentazione di Beccaria può apparire un po’ semplicistica, ma quante confessioni false sono state estorte sotto tortura? Nell’antico regime questa pratica era parte integrante del procedimento inquisitorio, utilizzata per estorcere confessioni. I processi potevano protrarsi per anni e gli accusati venivano segregati in carcere in attesa di giudizio. La sentenza di morte veniva eseguita pubblicamente secondo modalità spettacolari allo scopo di riconfermare l’autorità del sovrano di fronte ai sudditi.
Perché abolire la pena di morte?
La novità di Cesare Beccaria consiste sia nel fatto di mettere in discussione la pena di morte con obiezioni radicali e sistematiche, sia di negarne la legittimità sulla base del contrattualismo, ovvero la teoria illuminista del contratto sociale elaborata da Rousseau.
Quali sono le argomentazioni contro la pena di morte? In primo luogo se ognuno ha rinunciato a una fetta della sua libertà per affidarla a un potere che gli garantisca sicurezza e diritti fondamentali, nessuno può rinunciare alla vita che è il suo diritto più grande.
In secondo luogo lo Stato non può da un lato proibire l’assassinio e dall’altro commetterlo a sua volta.
In terzo luogo la pena di morte non è un deterrente alla criminalità. Lo spettacolo di un’esecuzione pubblica provoca nelle masse un’emozione di intensità passeggera, mentre le pene inflitte devono dare un esempio duraturo. Beccaria afferma, dopo accurata disamina psicologica, che lunghe pene carcerarie accompagnate da lavori forzati sono deterrenti molto più efficaci. Approfondiamo un po’ la questione. Uccidere un cittadino potrebbe essere lecito se la sua morte diventasse l’unico deterrente per allontanare altri da commettere reati simili. Purtroppo, sostiene Beccaria, l’esperienza e una riflessione sulla natura umana dimostrano che non è così. Di conseguenza occorrono soluzioni punitive alternative.
Qual è la posizione dell’Italia sulla pena di morte?
L’Italia fu tra i primi paesi al mondo ad abolire la pena capitale con il codice penale Zanardelli del 1889, ma il fascismo la reintrodusse. Riguardo all’argomento spinoso del rapporto tra il fascismo e Beccaria, sintetizzo alcune osservazioni di Calamandrei che curò l’edizione del trattato del 1965 per la Le Monnier di Firenze. Negli anni Trenta sia l’estensore del nuovo codice penale Alfredo Rocco sia lo stesso Mussolini presero posizione sul precedente di Beccaria riguardo alla pena di morte. Il fatto sorprendente è che invece di contraddire la posizione di Beccaria, sostennero che Beccaria non era contrario in toto alla pena di morte. L’affermazione risponde a verità.
Nel capitolo sulla pena di morte si legge:
“La morte è necessaria in alcuni casi. Quando il detenuto mantiene legami tanto potenti da minacciare la sicurezza dello Stato, oppure anche in prigione rimane un punto di riferimento per progetti sovversivi e rivoluzionari. Quando lo Stato è particolarmente vulnerabile in caso di guerre esterne o interne, violenti disordini, ventate anarchiche, mancato rispetto della legge sul territorio”.
Così il Fascismo applicò le rare eccezioni per cui il giurista milanese la contemplava. In caso di Stato debole, durante guerra, rivoluzione, gravi minacce interne per l’ordine e l’interesse pubblico. Certo è che tali "eccezioni" indeboliscono un po’ la vis argomentativa contro la pena di morte che, bandita dalla porta... ha la possibilità di rientrare dalla finestra.
Abbandoniamo questo terreno scivoloso per toccare l’oggi. Nella Costituzione del 1948 la pena di morte viene abolita per tutti i reati comuni e militari commessi in tempo di pace, ma ancora contemplata nel Codice Penale Militare di Guerra. Nel 1994 una legge abolisce la pena capitale dal nostro Codice Penale Militare. Infine una legge costituzionale del 2007, modificato l’articolo 27, proclama il principio della presunzione di innocenza sino alla condanna definitiva; vieta le pene consistenti in trattamenti contrari al senso di umanità. Dal 2007, quindi, la pena di morte viene rimossa dalla Costituzione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Dei delitti e delle pene: i temi del trattato di Cesare Beccaria, a 285 anni dalla nascita
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