Della misantropia
- Autore: Manlio Sgalambro
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2012
Per diversi anni e per almeno sei dischi ho subito il fascino della scrittura di Franco Battiato. Mi sembrava compiuta già in sé, bastante a se stessa, felicemente fuori tempo e fuori luogo. Ero così convinto del talento del Battiato verseggiatore che una volta gli chiesi perché avesse inteso stringere un sodalizio tanto duraturo con Manlio Sgalambro. Non lo posso scordare: il Maestro mi guardò di traverso, e con aria vagamente piccata, alla Moretti, rispose: “Vai a leggerti i libri che scrive Sgalambro così capirai perché”. Il guru dell’Etna sottovalutava alquanto la mia voracità letteraria: di Sgalambro, a quell’epoca e nel mio piccolo, avevo letto “La morte del sole” e il “Trattato dell’empietà”, anche per ciò ritenevo il filosofo di stazza ben diversa rispetto al paroliere. Il botta-e-risposta finì lì e l’ho rievocato per ribadire il concetto: a mio parere, Manlio Sgalambro è un passabile chansonnier e un pensatore, invece, degnissimo. La sua prosa è aforistica, nitida come un tramonto incontaminato, affilata come un’accetta; irriverente quanto basta per arrivare al nocciolo senza smarrirsi nelle circonlocuzioni care all’accademismo più tronfio (posso scrivere che lo stile di Sgalambro ricorda, per colore, quello di Friedrich Nietzsche, grandissimo scrittore prima ancora che pensatore?).
Si vedano, ad esempio, i sette trattatelli compresi nel recente “Della misantropia” (Adelphi, 2012). Le massime che seguono sono solo l’ombra della luce (per tornare, e parafrasare Battiato) di ciò che vi troverete dentro.
Sulla misantropia:
“L’Idea è raggiungibile solo in uno stato di misantropia. Il misantropo non vede più l’uomo, la cui carne detesta, ma l’Idea dell’uomo”.
Sull’apologia del teologo, ma del “teologo infedele”:
“L’iperbole ‘Dio si è fatto uomo’ non è teologicamente ricevibile. A Santa Teresa D’Avila si deve dire: ‘Poiché secondo voi l’anima è la residenza di Dio, sporcatela, rendetela inabitabile, un pagliaio infetto: cacciatelo fuori’."
E - ancora - si legge ne “Il discepolo”:
“Nessuno deve entrare in una filosofia se non è disposto, almeno come possibilità, a non lasciarla per tutta la vita”.
Restituita l’idea della “forma” filosofica di Sgalambro, occorre accennare a qualcuno dei suoi temi che - come in ogni gnostico che si rispetti - scombinano un po’ le carte in tavola a metafisica, ontologia, uomini, dei, vita, natura, mulinando fendenti a destra e a manca, senza pre-concetti, nel modo “violento” e provocatorio che è proprio dei liberi pensatori e dei pensatori capaci. Il fastidio sperimentato da Sgalambro per sé stesso è l’anticamera di quanto provato nei confronti degli uomini, soprattutto al cospetto delle loro aggregazioni, come quelle di Governo, bestione bulimico e invadente che “fa i suoi bisogni in pubblico” (“De gubernatione”).
Per chi si appassiona ai temi forti della filosofia, “Della misantropia” è un volumetto denso e incisivo, da non perdere.
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