Di chi è questo cuore
- Autore: Mauro Covacich
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2019
Mauro Covacich è un triestino ormai divenuto un abitante stanziale di Roma Nord: i suoi itinerari quotidiani si svolgono tra la Collina Fleming, Ponte Milvio, dove oltre ai lucchetti di Moccia si bevono spritz e si mangiano patatine olive e fusaglie, che in altri idiomi si chiamano lupini, lungo la pista ciclabile che corre parallela all’argine del Tevere, il quartiere dove abita, il mitico Villaggio Olimpico, che confina con l’Auditorium di Renzo Piano, il Maxxi, il supermercato che fu durante le Olimpiadi del 1960 il luogo di incontro degli atleti divenuti icone, Abebe Bikila, Wilma Rudolph, Cassius Clay, e i Parioli.
Un disturbo cardiaco da poco diagnosticato gli suggerisce di non rischiare “una sincope” continuando ad allenarsi per gare di corsa o per defatiganti nuotate. “Eh sì, per un po’ lei deve stare a riposo”. Da questo suggestione parte il romanzo, "Di chi è questo cuore" (La Nave di Teseo, 2019), che si pone nell’ormai consolidata tradizione dell’autofiction, molto cara ai narratori contemporanei. Allora seguiamo lo scrittore nelle sue giornate ricche di incontri, interviste, di viaggi in treno, di impressioni che vengono dalla cronaca, dalla quotidianità. Il rapporto con la compagna Susanna, con la celebre famiglia di lei, soprattutto il padre Achille, a lungo professore di letteratura italiana presso La Sapienza, straordinario dantista e non solo, nei confronti del quale lo scrittore prova una forma di soggezione, ma anche di grande affetto e di scambio di passioni letterarie. Con sua madre, rimasta a Trieste, che dopo la vedovanza ha cominciato a frequentare in modo quasi compulsivo Facebook, riempiendosi di amicizie virtuali, di fotografie di viaggi e paesaggi, rivelando un’insospettata socialità e una grande voglia di apertura alla vita.
L’io narrante somiglia o si identifica in gran parte con lo scrittore, colpito da fatti di cronaca su cui indaga, riflette, scrive sui quotidiani: come è precipitato nel cortile dell’albergo il ragazzo che durante una gita scolastica è stato trovato morto, mentre i suoi compagni si dichiaravano innocenti o indifferenti di fronte ad una disgrazia così assurda? Avevano bevuto? Qualcuno lo ha spinto? Spesso nel corso del romanzo l’autore ritorna su questo tema, che lo turba come pure si interroga sul destino dei senza tetto che affollano il suo quartiere. Uno più di altri, Arcimboldo, che dorme sotto il ponte di Corso Francia, vive di scarti e di cartoni di vino a buon mercato, una sorta di presenza amica, che poi si rivelerà protagonista di una storia incredibile. Accanto a lui, mammine con i passeggini, il viso rivolto allo schermo del cellulare, ragazzi indiani che si offrono come portatori di carrelli della spesa, i volontari di Save The Children, le guardie giurate, i questuanti.
La Roma di Covacich è piena di personaggi, di luoghi, di situazioni difficili. C’è la stazione Termini, descritta nei meandri più oscuri della microcriminalità indomabile con toni letterari di grande efficacia narrativa:
scendevo sulla scala mobile della linea A, il regno delle zingare. Scacciate dai nuovi scherani del servizio armato il più possibile lontano dalle banchine dei treni dove seminavano il panico, sono costrette ora a lavorare all’esterno dei tornelli , vicino alle macchinette dei biglietti, aree in vero ancora più pescose, colme di turisti coi portafogli in mano, lo sguardo intento a decifrare le tariffe, i trolley dimenticati alle spalle come cuccioli di foche distratti in un mare di orche assassine.
E ancora il quartiere multietnico di Piazza Vittorio, le prostitute e i trans dell’Acqua Acetosa, ma anche il verde della città, Villa Borghese al mattino presto, quando la città sembra disabitata.
Cerco di godermi le acacie, gli olmi, gli eucalipti, anche solo riconoscendoli nell’universo alieno dei vegetali, cerco di tenere o sguardo lontano dall’orologio, che segna la distanza, l’andatura, le calorie, la frequenza con cui insiste a battere questo mio grosso cuore difettoso.
Nel romanzo di Mauro Covacich si trovano tanti dettagli, descrizioni, impressioni, riflessioni, giudizi che lo scrittore dà sul mondo culturale e sullo spaccato sociale di cui è parte, su di sé, sul rapporto di coppia non sempre facile e lineare, mentre una sorta di grasso grosso personaggio di fantasia si inserisce nelle sue stanze, nel suo subconscio, nel quotidiano delle sue giornate piene di ansia, di sigarette da non fumare, di farmaci ansiolitici, Lexotan, Lendormin, Valpinax, ma anche di belle pagine di letteratura, di filosofia, di storia. Un lungo capitolo, Anne, riflette sul celebre "Diario" in edizione integrale curato da Natalia Ginzburg: Anne Frank e la sua amica immaginaria Kitty, “l’Altro invisibile, il doppio in ascolto, lo orecchio che ha creato la voce”, come anche è emozionante la scoperta di Etty Hillesum e del suo diario, che ci rivela una personalità straordinaria, il suo dialogo con Dio e con l’umanità, in quello che Covacich definisce:
Un egocentrismo altruistico, altamente dissipativo. Etty si spende anima e corpo in ogni contatto con l’altro.
Il romanzo di Covacich alterna diversi registri linguistici, argomenti alti ad altri meno nobili, pagine descrittive ad altre colme di implicazioni psicologiche, analitiche, provocatorie. Libro denso, ricco, profondo. Ringrazio per l’omaggio ad Achille Tartaro, indimenticabile professore, con cui ho imparato ad amare il Canzoniere di Petrarca. Autofiction?
Di chi è questo cuore
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