Il 17 Aprile alle ore 18,30 presso la sala Deluxe della Casa del Cinema sita in Largo Marcello Mastroianni 1 all’interno di Villa Borghese a Roma, si è svolta la presentazione del volume Di figlio in Padre di Manuel De Sica (Bompiani 2013). Erano presenti oltre all’autore Gualtiero De Santi, professore e storico del cinema “consulente e mentore letterario, persona colta e amica”, e l’attore Maurizio Micheli, che ha letto alcuni brani del volume.
A metà tra biografia e autobiografia, il libro ripercorre l’esistenza e la carriera artistica dell’attore/regista che ha realizzato capolavori assoluti del cinema di tutti i tempi. L’uomo Vittorio De Sica, ma anche il padre visto dal figlio Manuel compositore, autore di musica sinfonica e da camera, di oltre cento colonne sonore composte per il cinema e la televisione dal 1969 a oggi. Alla presentazione del volume sono intervenuti molti personaggi del mondo del cinema, della cultura e della musica tra i quali Lino Capolicchio, il Direttore della Casa del Cinema Caterina D’Amico, Alex Ponti, Marco Risi, Emanuele Salce, Valeria Fabrizi, Giuliana Lojodice, Lino Patruno, e tanti altri ancora.
A margine dell’evento abbiamo intervistato Manuel De Sica.
- C’è un legame tra il libro e l’Associazione Amici di Vittorio De Sica?
Certamente. Alcuni anni dopo la scomparsa di mio padre dopo essermi documentato, mi sono accorto della scarsa quantità di materiale cinematografico originale esistente che riguardava i film di De Sica. Tutto quel materiale che papà aveva creduto sarebbe stato eterno rischiava di essere cancellato dal tempo. Quindi dal 1994 (ventesimo anniversario della scomparsa di mio padre) mi sto occupando di recuperare, restaurare, preservare e conservare le opere di De Sica attraverso l’Associazione Amici di Vittorio De Sica della quale sono Presidente. Nel fare ciò mi sono avvalso della generosa collaborazione dei più competenti operatori del settore, il primo film restaurato è stato Umberto D. molto amato da mio padre. Credo che preservare l’opera sia la cosa più importante di cui parlare, tutto il resto è ludus, gioco, memoria, leggenda. La seconda cosa subito dopo la preservazione è la divulgazione, perché se le nuove generazioni non vengono a sapere chi è stato De Sica credo che sia difficile che possano apprezzarne l’opera, bisognerebbe instradarle. Io faccio conferenze di due ore nelle scuole con tanti video clip per parlare di mio padre, però questa materia, il cinema, andrebbe introdotta nelle scuole dell’obbligo… Questo libro lo considero un compendio, una cosa che prima o poi sarebbe dovuta uscire fuori dalla mia testa. L’ho scritto a condizione che fosse una biografia congiunta a quella di Vittorio De Sica, come biografia personale non sarebbe stata sufficiente.
- In una Sua precedente intervista riferendosi al Suo libro ha detto che “scriverlo è stato psicoterapeutico”.
Sì. Un coacher mi disse “si scriva una pagina al giorno di un diario intimo, anche senza fare nomi”. Io ho cominciato a farli i nomi e da intimo il libro si è rivelato pubblico solo perché a manoscritto rifinito l’ho fatto leggere a Elisabetta Sgarbi, direttore editoriale della Bompiani alla quale è piaciuto molto e l’ha voluto pubblicare.
- Che ricordo conserva dei Suoi genitori Vittorio De Sica e Maria Mercader?
Nel libro parlo di quel mondo che ricordo vividamente, al quale sono stato esposto ai raggi x fin da quando ero bambino. Di questo ringrazio i miei genitori che forse per alcuni non sono stati pedagoghi sufficienti, invece per me sono stati giusti, perché ho preferito loro ai soliti genitori che mettono i paletti, che insegnano l’educazione... io invece dei miei genitori ho un ricordo molto delicato. Il libro è dedicato a loro, perché parlo anche della follia dentro il mondo dell’Arte dello spettacolo, del cinema e del teatro, ed è quello il lato delle persone che più mi interessa. Quel lato imprevisto e trasgressivo.
- L’opera omnia di Vittorio De Sica che cosa può insegnare alle giovani generazioni?
Prima di tutto come si fa il cinema, cosa significa una sceneggiatura, cosa significa recitare in maniera verosimile a cui mio padre è ricorso perché gli attori professionisti li temeva, come temeva se stesso come attore professionista. È stato così bravo da insegnare a recitare ai sassi. Ricordo che mio padre mi portava spesso a rivedere quei film dove faceva l’attore, il “gigione” e, si divertiva nel rivedersi, però quelle pellicole le considerava fesserie che interpretava con la mano sinistra, come se fosse una passeggiata, mentre i film di regia erano una fatica spaventosa, infatti era stato soprannominato “opera prima” per il carico di emotività che ci metteva nel realizzarli.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Di figlio in padre: intervista a Manuel De Sica
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