Di nessuna chiesa. La libertà del laico di Giulio Giorello

Giulio Giorello nel suo libello Di nessuna Chiesa. La libertà del laico (Raffaello Cortina, 2005) non teorizza la validità di un’affermazione che lui, laico per eccellenza, sostiene, ma si affida a numerose citazioni in cui scienziati e filosofi dichiarano la loro posizione sulla libertà, di fronte alla quale il vero laico non si pone con la classica tolleranza democratica che spesso nasconde una volontà pedagogica e finisce per imporre anche i migliori sentimenti dall’alto.

“È preferibile l’equilibrio ottenuto attraverso discussioni e lotte a quello imposto dall’alto”.

Giorello è convinto che anche di fronte al fanatico non si debba avere nessuna volontà di cura o di normalizzazione.

Riprendendo, poi, l’immagine di Clifford Geertz che ha paragonato la società aperta e libera a un bazar levantino dove nessuno è costretto a comprare ma nello stesso tempo a nessuno è proibito esporre le sue merci, cioè le proprie tradizioni e culture differenti, l’autore afferma come ogni comunità implichi clausura: i frequentatori di quel bazar potrebbero percepire quella diversità come minaccia alla propria identità, liquidando ogni idea di società aperta, come sa bene Giovanni Sartori.

Essere di nessuna chiesa significa tollerare ogni chiesa, riconoscerne il diritto all’espressione anche nel libero atto di prenderne le distanze. In questo senso, l’indifferenza è la migliore garanzia di una piena fioritura umana.

Nei cinque capitoletti: La torre di Babele, Indipendenza, La scelta della filosofia, Tolleranza, Indipendenza e La corda a tre fili Giorello propone tutte quelle affermazioni che hanno attinenza con la difesa della libertà intellettuale e con l’assoluta estraneità a ogni setta o confessione, concludendo che:

"Chi è di nessuna chiesa non si ritrova neppure in una chiesa di atei".